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Complimenti per la trasmissione
Il programma "gender" di Real Time
Il programma "gender" di Real Time
Non è un sussurro di Ozpetek, ma potrebbe esserlo.
«Leggo nei loro occhi che non vivono lo stigma di alcuni adulti, e questo dà molta speranza...», Ottavio detto Ottavia, architetto/a antichista della buona società di Paestum, ha sopportato la fatica della propria transessualità nell’abbraccio dei figli. I figli, un maschio e una femmina oggi adolescenti, lo chiamano «papà», mai «mamma» («per una questione di rispetto verso la madre naturale e di trasparenza e dignità verso me stesso») qualche volta «pixie» che è un compromesso neutro e amichevole per questo trans seduto con compostezza sul divano di Vite divergenti. Ammetto che ero partito prevenuto sul documentario d’interviste che Real Time lunedì in prima serata dedica al mondo Lgbt. Ammetto -dato il gusto del plateale e del grottesco che talora attraversa la rete- che mi aspettavo una roba in stile Almodovar o Gay Pride o La cage aux folles, l’arroganza del pensiero laterale, con tanto di noiosissima trasgressione avvolta nelle piume di struzzo.
Invece questo programma di «Storie di altro genere», estratte dalla onlus Mit di Bologna, si snoda su 12 minuti di racconto di vita sviscerato con delicata risolutezza. É assai efficace la missione dell’architetto Ottavia che si batte contro il pregiudizio di un piccolo paese del sud che avrebbe voluto esiliarla. Ed è condivisibile sia la sua tenacia nel difendere i figli «dal contesto» spesso violento; sia la sua battaglia legale contro quei giudici che «ai quali è affidato il giudizio della riattribuzione primaria di sesso; cioè è un giudice che decide se sei degno di entrare in sala operatoria», afferma sempre l’architetto. L’intervista è intramezzata da scene allegre e non caciarone di amici che passano, di pranzi in cortile tra calici alzati, di affermazioni orgogliosa della propria «transizione» (Ozpetek, appunto). I comunicati stampa annunciano altre Vite divergenti altrettanto partecipate, come quella di una sopravvissuta a Dachau, la cui biografia fu «un’epopea, dalle difficoltà con la famiglia alla guerra agli spettacoli en travesti nei teatri».
Certo, dietro ogni storia c’è un mondo cangiante di polemiche e diritti civili, su cui si può essere o meno d’accordo, a seconda che lo si osservi dall’ottica di Giovanardi o di Cecchi Paone. Ma il racconto - italiano in una rete a prevalenza straniera- merita sorrisi. E finanche ascolto...
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