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I giudici europei aprono il varco per aggirare il bail in

FRANCESCO DE DOMINICIS
FRANCESCO DE DOMINICIS

A Libero dal 2007, è in forza alla redazione di Roma dove si occupa di economia e soprattutto di banche. Il nome di questo blog, Baraonda bancaria, è ripreso dal titolo di un libro scritto nel 1960 da Alberto de' Stefani nel quale l'autore racconta la sua esperienza nel salvataggio del Banco di Roma negli anni 20: è la storia di intrecci politici e gestioni fuori legge. Dopo un secolo, nell'industria finanziaria italiana, non sembra cambiato granché.

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Una interessante sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea apre il varco per aggirare la direttiva sul bail in, quella che stabilisce – in caso di dissesto finanziario – che i buchi nei conti vengano coperti, oltre che con l'azzeramento del valore di azioni e obbligazioni, anche con un contributo dei titolari di conti correnti.  Ce ne siamo occupati diffusamente, in questo spazio, negli ultimi mesi. Del resto, le regole dell'Unione europea hanno destabilizzato il settore finanziario, lasciando la sensazione che i depositi bancari non siano al sicuro. Ma torniamo alla pronuncia dei giudici di Lussemburgo. Secondo i quali uno stato può imporre agli azionisti di un istituto di credito un aumento di capitale qualora ci sia in ballo la stabilità dell'intero sistema bancario. L'interesse pubblico – questo il senso della sentenza – prevale su quello dei privati-azionisti. C'è chi parla di una esagerazione, di una botta clamorosa al libero mercato. Il tema è complesso e merita approfondimenti. Tuttavia, non si capisce per quale motivo un cliente – benché con conti superiori a 100mila euro e dunque in qualche modo ricco – debba essere “tassato” per colpe di una gestione societaria di cui è totalmente estraneo.

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