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La trappola narrativa di In Treatment

Il (bel ) programma di Sky tra Castellitto e la psicanalisi

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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In Treatment parte 2a Foto: In Treatment parte 2a
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Gli psicologi -specialmente i lacaniani, i gesuiti della psicanalisi- mi fanno paura dal vivo, figuriamoci in tv, dove la fisima diventa dramma e il dramma diventa pathos. E dunque diffido assai di Sergio Castellitto, antieroe di In Treatment nei panni dell'analista Giovanni Mari (dal lunedì al venerdì, Sky Atlantic HD ore 19,40); ossia di un uomo dallo sguardo liquido, immerso nei tumulti del cuore, separato dalla moglie, con una figlia che non lo perdona («questo è l'ultimo abbraccio che ricevi da me finché non torni a casa», dice la ragazza, e mantiene la parola), stanziale nel salotto di casa trasformato in studio-bunker contro le bombe atomiche dei pazienti. Pazienti che sono vari e avariati. Per dire.  Un bambino obeso devastato dal divorzio dei genitori che non vuole più «dormire dal padre separato»; un ingegnere accusato di disastro ambientale che si tiene più stretto il cappotto che i figli («è cachemere  le cose preziose è meglio tenerle sott'occhio»); una studentessa d'architettura che non riesce a pronunciare la sua malattia ma la scrive, tremando, sul taccuino. In più, sotto ogni seduta, scorre la sottotrama d'un'angoscia palpabile: il dottor Mari finisce in un processo per istigazione al suicidio di un paziente figlio di magistrato, e si difende con un avvocatessa ex paziente che però lo oda perchè lui l'aveva abbandonata sul lettino vent'anni prima. Una sfiga romanzesca, direi.  L'escamotage narrativo è assegnare ad ogni paziente un  giorno della settimana,  un appuntamento fisso con il medico; mentre il venerdì, invece, è il giorno in cui è lo stesso Mari si reca mesto in analisi da un'amica che gli crea ancora più casini. Ecco, diffido del dottor Mari. Ma ammetto che la regia teatrale di Saverio Costanzo (primi piani, gesti minimi, non-detti che superano i dialoghi) vale il biglietto. E  la scrittura sofisticatissima dei dialoghi,  filtrata dalla  bravura degli attori (Castellitto ma anche Adriano Giannini, Bobulova, Miglietta, Placido),  ti intrappola  come in una vera seduta di psicanalisi. Solo che qui puoi smettere quando vuoi. Forse. La serie ha un successo mostruoso tra gli spettatori «liquidi»:  2 milioni di download, 30 volte superiore alla media. La critica che viene mossa a In Treatment è che è la copia conforme  delle versioni originali americana e  israeliana. Può essere. Io, però, non ho  fatto il confronto, e posso accontentarmi...

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