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50 modi per far fuori lo spettatore con i Facchinetti's

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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I Facchinetti's Foto: I Facchinetti's
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Dai tempi biblici del sacrificio di Isacco, tutti, più o meno, abbiamo avuto problemi col papà. Figuriamoci. Per dire. Il mio papà,  generale in pensione, comunicava a dittonghi e mi faceva passare intere  notte all'adiaccio, sul pianerottolo come un sioux. Così, giusto per irrobustirmi il carattere; mi diceva:«Da grande capirai», solo che ancor oggi il concetto educativo mi sfugge. Figuriamoci, quindi, se non posso capire Francesco Facchinetti. Il quale, afflitto dal complesso di Oliver Twist («Ho visto mio padre più sul palco che in camera mia a giocare»), cerca in ogni modo di ricostruire un rapporto col padre che «dal 1966 al 2016, anno della pensione» ne aveva ignorato infanzia e adolescenza. La vera domanda è se ha un senso, per risolvere la stratificazioni freudiane della famiglia Facchinetti, farci sopra un programma, 50 modi per far fuori papà (Raidue, martedì prime time), pagato dalla Rai, cioè da noi. Un interrogativo, questo, che mi ha accompagnato per tutta la  lunghissima, eterna gita di Roby «Wan Kenobi» Facchinetti e del figliolo «France» in Lapponia, a 30° sottozero, «dove nemmeno i Pooh sono mai arrivati». Dal momento in cui la coppia è salita sull'aereo scattando a manetta foto sulle «nuvole fatte di neve», l'inquietudine ha avvolto questo viaggio che poteva essere un afflato alla Chatwin ed è diventato  una roba all'Osvaldo Bevilacqua ma con più crudeltà. Sicchè, il povero papà Roby s'è ritrovato nell'ordine: in una balera finlandese a fare il karaoke di Piccola Ketty davanti a ultrasessantenni scatenate; a spalar neve fresca per pescare nel ghiaccio; a piegarsi nelle slitte trainate da cani husky incazzatissimi; ad estenuarsi in maratone di sci di fondo con cappelli a forma d'alce; a dormire dentro chalet con la temperatura di un iceberg; ; a dar da mangiare alle renne della foresta più incazzate degli husky, che prendono a zoccolate in faccia il vecchio Pooh. Il quale, giustamente sfiata: ««Son a pezzi, mi fanno male pure i capelli». Divertente. Per i primi 15 minuti. France dice a Roby:«Ti faccio fare cose che non hai mai fatto nella  vita». e lui:  «Ho capito ma cose belle, mica brutte». Era riferito, credo, non solo alla gita ma a tutto il programma...

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