Cerca
Logo
Cerca
+

Chef Rubio e i suoi bagni d'umiltà (nel letame)

Il programma "sporco" di D-Max

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

Vai al blog
Chef ai lavori forzati Foto: Chef ai lavori forzati
  • a
  • a
  • a

Gabriele Rubini in arte Chef Rubio è il Thomas Milian del docureality d'Italia, er Monnezza dei palinsesti più profondi. Possiede autoironia, tempi televisivi e tautaggi in quantità industriali; e sin dai tempi di Unti e bisunti (il programma sul cibo di strada) è stata la vera novità di una tv riempita di cuochi e fornelli all'imbarazzo. Poi ha dilatato a dismisura il suo personaggio pop da vigoroso fijo de mignotta, e si è messo alla prova in campi inimmaginabili. «Campi» nel senso letterale del termine. Dato che, nel suo nuovo format È uno sporco lavoro (Dmax, lunedì , prime time), Rubio e i suoi tatuaggi si trovano proiettati nelle distese dei pascoli dell'entroterra sardo, a casa del pastore Mimmo. Il quale, costringendolo ad indossare una terribile pelle di montone, lo spinge a lavori d'una durezza epica. Dopo aver messo messo le mani nel latte per cagliare la ricotta («Che bello sembra quando squarti uno e je metti le mani dentro»), Rubio raschia le stalle, passa momenti tormentati nella sala «affumicatrice» dei formaggi, vigila sugli ovini, munge le vacche, ascolta i canti notturni dei pastori erranti come se si trovasse in una pagina dell'Odissea. Prima ancora, lo chef, spinto da una sfida con gli amici del baretto e da una filosofia spicciola adatta alla trama («ogni momento tirato a lucido della giornata dipende da un momento lurido della vita di qualcun'altro») si era presentato al porto di Cagliari. Dove l'aveva accolto «Gesuino il re del porto» , un pescatore di ricci che l'aveva introdotto nella difficile arte di scaricare macchine movimento terra assieme a 25 milioni di tonnnellate di fluorina da una nava messicana, qualunque cosa sia la flurina. Una pausa pranzo possente però, non basta a Rubio per non pensare di essersi infilato -con tutto il rispetto- in una sarabanda di lavori di merda. Ma questa è la sceneggiatura: sporcarsi le mani nei lavori umili per lavarsi l'anima ed ascendere al regno dei cieli dell'ascolto. Ignoro se l'esperimento possa funzionare. Lo chef, forse entrato troppo nel personaggio, gigioneggia e talora perde per strada il racconto del mestiere che interpreta. Il bagno d'umiltà nel letame della vacca non dà risultati immediati. Ma Rubio resta un carattere interessantissimo...

Dai blog