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Obama e lo scontro polizia-afroamericani, cosa succederà adesso

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Barack Obama Foto: Barack Obama
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Cinque poliziotti uccisi a Dallas da un nero, tre altri (di cui uno nero) giustiziati a Baton Rouge una settimana dopo. Il bilancio del degrado della leadership di Obama, dopo otto anni di Casa Bianca, e' sempre piu' fallimentare, e il primo ad ammetterlo e' lo stesso presidente. Non lo ha detto con le parole, ma con il tono spazientito e lo sguardo cupo e rabbuiato del commento che ha fatto domenica, alcune ore dopo le tragiche notizie dalla Louisiana. Aveva l'espressione del leader impotente, quello che aveva fatto il suo massimo nello sforzo di ergersi, con la sua retorica un tempo ammaliante, sopra le razze e sopra le tensioni tra le forze di polizia e i capipopolo della comunita' afro-americana, ma che ora non e' piu' ascoltato da nessuno. Non e' stata una performance che l'America avrebbe voluto vedere, e che lui avrebbe mai voluto recitare. Tutti percepiscono il senso palpabile di frustrazione nelle frasi di Obama diventate rituali e trite, e cio' disegna il profilo declinante del primo presidente nero che lascia il paese piu' diviso, ostile, incarognito di come lui non lo abbia trovato, eletto proprio sulla promessa e la speranza del miglioramento delle relazioni razziali. Ma e' anche orrificante per la gente capire di essere preda di un fenomeno dal futuro nerissimo. Una societa' civile insanguinata in cui i poliziotti non possono preoccuparsi piu' solo dei criminali proteggendo i cittadini, ma devono guardarsi alle spalle ad ogni pattugliamento, per salvare se stessi da un'odio crescente, diffuso, irresponsabilmente alimentato dai profittatori dell'apartheid. I gruppi nati da Ferguson, Black Lives Matter su tutti, hanno prosperato perche' li hanno allevati i “professionisti” della ideologia anti-bianca, anti-sionista, filo-islamica e filo eversiva e filo comunista, dal leader della Nation of Islam Farrakhan al suo amico Jeremiah Wright, il reverendo mentore di Obama a Chicago, fino al reverendo di New York Al Sharpton. Ma sono gruppi radicali sempre piu' forti e influenti perche' la causa della divisione, con gli attacchi agli agenti, e' stata nutrita e coccolata da Barack fin dal primo mandato. Quando disse che “ la polizia ha agito stupidamente” quando un agente, chiamato da un passante, blocco' e porto' in caserma un nero che, come un ladro, stava trafficando con le chiavi per entrare in una villa a Boston. Poi si scopri' che era stato un equivoco: che la villa era la sua, che il nero era un professore universitario di chiara fama (amico di Obama) e che, fermato con diritto dal poliziotto (bianco), aveva dato in escandescenze gridando il classico “lei non a chi sono io”. Obama, in quella occasione, poteva dare un segnale pro “law & order” difendendo la buonissima fede dell'agente intervenuto su chiamata di un cittadino per reprimere un crimine, e invece scelse di accusarlo di “stupidita'”, che in quel contesto stava per “razzismo”. E da quel minimo episodio, poi, non ha mai cambiato linea. I poliziotti hanno sempre torto se ci scappa un morto nero, anche quando quegli stessi poliziotti vengono assolti in pieno dai tribunali (come  a Ferguson, Staten Island e Baltimora) o mentre ancora non sono stati chiariti i fatti, come a Baton Rouge e Minneapolis. In compenso, non fanno mai notizia, ne' sono oggetto di oltraggio, le centinaia di morti neri nelle citta'-ghetto, uccisi da altri neri per criminalita' pura e semplice.  Gli afro-americani sono vittime soltanto se a ucciderli e' un agente. Dopo Ferguson, tutti ricordano, Barack aveva cavalcato il piagnisteo del razzismo, prima che il gran giuri' chiarisse che l'agente bianco aveva agito in legittima difesa contro il giovane ladro, un energumeno nero, che lo voleva aggredire. La reazione attuale di Obama ai tre agenti uccisi di Baton Rouge e' stata tutta politica, tesa a ridurre il beneficio che Trump oggettivamente incassa se il paese si dimostra malgovernato, a rischio, in balia di violenti radicali, siano dell'ISIS o siano di BLM. La preoccupazione su tutte di Obama e' che il clima di odio delle fazioni nere che si rifanno a BLM o che appartengono alla galassia piu' ampia della protesta di colore possa influire sulle elezioni, favorendo Trump come difensore della legge e dell'ordine in una nazione allo sbando. “Noi abbiamo le nostre divisioni e non sono nuove di adesso”, ha detto Obama, ma “e' tanto importante che ognuno, senza riguardo alla razza o al partito politico, senza riguardo a quale organizzazione appartenga, si focalizzi ora in parole e in azioni che possono unire questo paese piuttosto che dividerlo ulteriormente. Non abbiamo bisogno di retorica che infiamma. Non abbiamo bisogno di accuse senza cautela gettate in giro per realizzare punti politici e avanzare una propria agenda. Abbiamo bisogno di moderare le nostre parole e aprire i nostri cuori.” Ma ormai e' tardi. La sua “equidistanza” e il suo prestigio da leader sono sepolti. Non sara' ricordato come il presidente “sopra le razze”, quale aveva detto che voleva essere nel 2008, ma come il politico Democratico di sinistra che sulle divisioni razziali aveva conservato la Casa Bianca nel 2012, ma che su quella strada ha poi riportato il Paese indietro, agli Anni 60 del caos e delle sommosse razziali. Il Detective di Cleveland Steve Loomis, presidente dell'Associazione Police Patrolmen, e' solo l'ultimo dei dirigenti delle forze di polizia (dopo gli sceriffi Arpaio e Clarke) che non ha piu' peli sulla lingua a bollare la linea divisiva di Barcak: “Ha il sangue sulle sue mani”, ha detto a Fox News. “E' assolutamente insano avere un presidente degli USA e un governatore del Minnesota che hanno fatto le dichiarazioni che hanno fatto il giorno dopo le sparatorie che hanno coinvolto i poliziotti (a Baton Rouge e a Minneapolis). E queste sparatorie, non c'e' dubbio, sono quelle che hanno scatenato nel Paese gli assassinii senza senso degli agenti”. Quando un dirigente sindacale dei poliziotti si permette una simile spietata accusa pubblica al presidente, vuol dire che il tessuto della convivenza tra le istituzioni e' strappato. Obama lo ha capito. E la sua faccia cupa e arrabbiata, da sconfitto, e' stata piu' eloquente di ogni analisi. di Glauco Maggi @glaucomaggi

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