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Trump e Hillary, l'effetto (incrociato) degli endorsement vip

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Dopo le Convention dei due partiti gli schieramenti opposti, a livello di nomi di grido, si sono (probabilmente) completati. Qualche endorsement e qualche ripensamento dell'ultima ora potranno magari ancora arrivare, ma il tempo e' gia' maturo per una considerazione di carattere generale: nelle elezioni del 2016 le dichiarazioni di voto di politici e commentatori professionali, di personalita' dello sport o dello spettacolo, di banchieri e di imprenditori avranno un effetto nullo o quasi, di certo meno che nelle sfide precedenti. Il problema non sono i nomi, che sono sempre eclatanti, e a volte sorprendenti per la parte che hanno scelto di appoggiare. Per esempio Malik Obama, il fratellastro (al 100% nero) di Obama, ha detto di essere deluso del parente stretto e di stare con Trump, anche se lui e' un registrato Democratico (in Maryland). Piu' scontato l'appoggio per Trump del regista Clint Eastwood, repubblicano storico, sceso in campo con la promessa di fare comizi in California e Nevada per Donald. All'opposto Henry Paulson, ex manager della Goldman Sachs ed ex ministro del Tesoro di George W.Bush, ha scritto un'opinione su un quotidiano in cui ha promesso il voto ad Hillary. Se gli Occupy Wall Street filo Sanders cercavano un motivo estremo per disprezzare la Clinton, conferenziera preferita e ben pagata della banca piu' odiata dai liberal, adesso ce l'hanno. Per non parlare di Mike Bloomberg, ex sindaco di New York (ed ex democratico, ex indipendente ed ex repubblicano) che e' addirittura salito sul palco DEM di Filadelfia per attaccare, senza lesinare offese personali, il collega newyorkese (meno) miliardario di lui, ma piu' bravo di lui a conquistare consensi nazionali (Bloomberg voleva correre da Indipendente ma i sondaggi negativi l'hanno dissuaso). Mitt Romney e tutta la dinastia dei Bush hanno scelto l'Aventino per novembre, e sulla stessa linea di astensione incattivita si sono espressi conservatori senza macchia, dall'intellettuale George Will al direttore del Weekly Standard Bill Kristoll, solo per citare i nomi di punta dell'abortito partito dei “Never Trump”. Da Hollywood, Susan Sarandon ha spaccato il fronte sinistro e ha detto e ripetuto di essere pro Sanders, anche dopo che Hillary e' stata nominata: che cosa fara' in cabina elettorale? Magari tornera' all'ovile DEM, cosi' come potrebbero fare i tipi alla Ted Cruz, quei personaggi che non sono espliciti “Never Trump”, ma sono divorati dal calcolo politico e sfoglieranno la margherita dei sondaggi fino all'ultimo minuto, prima di saltare sul carro giusto. La domanda che si impone, di fronte alle giravolte e ai travagli dei “big names”, i “nomi del Palazzo” e' “chissenefrega?”. Trump ha sparigliato tutto, non solo il GOP ma anche i DEM, e nel panorama politico-sociale e' l'indubbio “nuovo”. Sara' il “nuovo che avanza” o sara' un fiasco? Ci sono ancora tre mesi prima del voto, e cio' che diranno nei dibattiti i due nominati, e i loro vice designati Pence e Kaine, forse potra' smuovere quella porzione di indecisi ancora in palio (tra i quali vanno inseriti coloro che dicono oggi di votare per la verde Jill Stein o per il libertario Gary Johnson). Forse. Ma la netta sensazione (personale) e' che a questo appuntamento che chiude l'era Obama (paura del terrorismo, economia balbettante e grande maggioranza del 70% di cittadini convinti che il paese va nella direzione sbagliata, secondo il sondaggio Rasmussen del 21 luglio), l'America sia arrivata con un atteggiamento fermo nelle sue divisioni, con un corpo elettorale sordo agli appelli esterni dei soloni di grido e appassionato nel decidere il proprio futuro. Gli ardori pro Trump e pro Sanders, mostrati in un anno di comizi e durante le primarie, sono qui per restare fino a martedi' 8 novembre: sono la vera pancia dell'America, l'antitesi dello status quo “continuista” predicato da Obama nella improba difesa della propria presidenza. La Clinton deve saper conquistare i “Never Hillary” tra i DEM piu' di quanto Donald dovra' conquistare i “Never Trump” nel GOP, perche' il richiamo di quest'ultimo verso l'opinione pubblica e' piu' bipartisan e meno ideologico. E in una tornata elettorale in cui la gente ha nei partiti, e nel Palazzo, il minimo storico della fiducia, figuriamoci quanto poco contino i “testimonial” che rappresentano solo se stessi. di Glauco Maggi  twitter @glaucomaggi

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