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Hillary, guai infiniti: il sondaggio che la devasta, l'indagine che la inchioda

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Piove sul bagnato sull'immagine di Hillary, che ha raggiunto il record assoluto del 68% di americani che la giudicano disonesta e non degna di fiducia (sondaggio FOX News). Mentre l'indagine dell'FBI sullo scandalo delle email si e' allargato come una piovra al laptop di Huma, la vice manager della campagna DEM, e del marito maniaco Anthony Wiener, oggi e' lo stesso primo responsabile della campagna, John Podesta, ad essere messo in croce. Dalle sue emails, diffuse da WikiLeaks, e' emerso che il funzionario (di nomina politica, quindi DEM) del Dipartimento di Giustizia incaricato di informare il Congresso sulla riapertura dell'indagine su Hillary e' un ex avvocato, Peter Kadzik, che a Podesta riusci' ad evitare la galera, che fece il lobbista presso Bill Clinton per ottenere il “pardon presidenziale” di un famigerato evasore fiscale, e che guido' la manovra parlamentare per confermare l'attuale Attorney General Loretta Lynch. Una “connessione”, scomoda oggi, la cui rivelazione e' un altro esempio che illustra come la mafia clintoniana abbia le mani su Washington da decenni, nutrendosi di intrallazzi e intrecci politici e affaristici. Peter Kadzik, che e' stato confermato nel posto di Assistente Attorney General per gli affari legislativi nel giugno del 2014, era stato l'avvocato di Podesta nel 1998 durante le investigazioni del procuratore indipendente Kenneth Starr, che indagava su Podesta, allora braccio destro di Bill alla Casa Bianca, per il suo ruolo nell'aiutare la intern e amante Monica Lewinsky a trovare un posto all'Onu. “Un avvocato fantastico. Mi ha tenuto fuori dalla galera”, Podesta scrisse l'8 settembre 2008 a Cassandra Butts, aiutante di Obama, per lodare il legale. Kadzik era stato un avvocato nella ditta Dickstein Shapiro LLP per 18 anni prima di rappresentare Podesta nella indagine su Clinton-Lewinsky. Nel 2000 era stato assunto come lobbista a favore dell'avasore fiscale Marc Rich, grande finanziatore dei DEM e fuggitivo in Svizzera, al quale Bill Clinton concesse il perdono, che fece enorme scandalo, negli ultimi giorni del suo secondo mandato come presidente, nel gennaio 2001. Kadzic ebbe quell'incarico “ perche' aveva la fiducia del capo di staff di Bill Clinton John Podesta ed era considerata una persona utile per portare le ragioni di Marc Rich a Podesta”, si legge nel rapporto della Commissione di Supervisione della Camera nel 2002. Un altro sgradevole altarino che e' stato scoperto oggi riguarda Donna Brazile, clintoniana di lunga pezza, che era stata per anni contributor della CNN come esperta di politica. In estate aveva sospeso il contratto con la TV liberal perche' aveva assunto la carica di direttore del Comitato Nazionale Democratico, vacante dopo che era emerso che la precedente direttrice Debbie Wasserman Schultz aveva tramato, in quella posizione che doveva essere super partes tra i candidate alle primarie DEM, per favorire smaccatamente Hillary contro Bernie Sanders. Ora e' il turno della Brasile di essere svergognata dalle proprie emails, sempre rese note da WikiLeaks. Mentre lavorava alla CNN, la politica afro-americana pro Hillary aveva saputo in anticipo dal conduttore le domande che sarebbero state fatte alla Clinton durante i dibattiti, e gliele aveva girate prima, per prepararsi. La CNN, che fa il tifo spudorato per i DEM ma vuole salvare l'apparenza della imparzialita', ha comunicato di “sentirsi estremamente a disagio” dalle rivelazioni sulle scorrettezze della Brazile e l'ha cacciata. La sola buona notizia, per l'America, e' che questa campagna elettorale, comunque andra' a finire, sara' il punto di non ritorno sull'irrimediabile tramonto di credibilita' della famiglia Clinton e dei suoi compari. E ancora a proposito di WikiLeaks, i liberal hanno dovuto inghiottire un boccone amarissimo, servito stamane nientemeno che dal New York Times, a discolpa del Donald. Una inchiesta condotta per mesi dall'FBI, scrive il quotidiano, non ha trovato prove di alcun contatto tra Trump e il governo russo. Viene quindi a cadere la tesi piu' cara della propaganda dei DEM: che Putin e Trump sono in combutta per far perdere la Hillary, e che Assange e' un burattino di Mosca. Non ci sono prove definitive di alcuna “cospirazione”, per ora. Glauco Maggi

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