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Dopo Hillary, il secondo suicidio del Partito democratico: come "cambia" pelle

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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La reazione dei due partiti al terremoto che ha scosso la politica americana nel 2016 e' stata opposta a cio' che successe nel 2008, e confermata nel 2012. Obama aveva vinto con un messaggio post-razziale, pragmatico, unificante, addirittura post-ideologico: "Non ci sono Stati rossi (filo GOP) e Stati blu (filo DEM), ma solo gli Stati Uniti d'America", aveva proclamato. Come si sa, appena insediato alla Casa Bianca Barack getto' la maschera, e con il superstimolo da 1000 miliardi e Obamacare fatta passare senza un solo voto del GOP diede il via a una gestione del potere tanto partigiana da concludersi con una pioggia di ordini esecutivi (amnistia, energia, ambiente) extraparlamentari. Tanto ideologico, e tanto di sinistra, da aver spostato l'asse del partito democratico al punto in cui i senatori Bernie Sanders e Elizabeth Warren sono diventati "la faccia" del partito e hanno condizionato la candidata Clinton a sposare un programma ultraliberal, e insieme iperprotezionista. Dal canto suo il GOP, dal 2009 alle primarie del 2015-2016, si e' arroccato in una ortodossia di pensiero conservatore, sia pure articolata nei due filoni paralleli e concorrenti del moderatismo e del radicalismo: dal Mitt Romney moderato e perdente nominato nel 2012, a John Boehner e Paul Ryan conservatori del mainstream eletti Speakers della Camera isolando i teapartisti, al lotto di conservatori solidi e collaudati (di nome e di cariche, senatori e governatori da Cruz a Jeb, da Kasich a Rubio a Walker eccetera) che si sono iscritti alle primarie repubblicane nel 2015 rappresentando le diverse anime classiche del partito. Fuori dal coro, Donal Trump ha fatto quell'irruzione nella competizione elettorale che e' diventata gia' storia, ed oggi sta compiendo la rivoluzione ideologica nel partito che e' diventato suo per plebiscito popolare. Trump si e' presentato con una piattaforma non ortodossa, seducente a sinistra con il protezionismo sui patti commerciali e la promessa di infrastrutture, e a destra con i tagli delle tasse. E universalmente efficace sul fronte del patriottismo e della guerra al terrorismo, sintetizzata nello slogan vincente "Make America Great Again" (azzeccato ma non originale, visto che Reagan l'aveva gia' utilizzato). Le nomine che ha gia' annunciato da presidente eletto confermano la sua indipendenza da ogni debito ideologico stringente, e la capacita' di usare personalita' appartententi a "chiese" diverse di pensiero e di interessi. Ma l'ancoraggio piu' saldo, ovviamente, e' all'anima conservatrice del partito: la indicazione a suo Vice di Mike Pence, governatore dell'Indiana e garante dell'establishment repubblicano, e la lista dei papabili per la Corte Suprema di giudici costituzionalisti graditi a destra, erano state le mosse piu' intelligenti per unificare il partito che lui stesso aveva dilaniato. Dopo la vittoria, l'arcobaleno che sta prendendo forma per i posti del suo gabinetto dimostra che Trump, se ha una filosofia di riferimento, e' quella della competenza che punta al successo, e che lui aveva promesso in campagna. Generali di provata capacita' al Pentagono (Mattis) e alla Casa Bianca nel ruolo di consigliere per la sicurezza (Flynn). Personaggi dalla forte esperienza nei settori e nelle commissioni congressuali dove vuole ingaggiare battaglie legislative (Price alla Salute e Elaine Chao ai Trasporti). Allo sviluppo dei ghetti urbani, problema eminentemente nero e di poverta', ha messo l'afro-americano di Detroit Ben Carson. Per migliorare l'economia, il Tesoro e' andato ad un ex banchiere della Goldman Sachs, Mnuchin, inattaccabile dai democratici ai quali in carrierra ha dato piu' soldi che al GOP, e il Commercio a Wilburr Ross, finanziere navigato nel business delle aziende fallite da risanare. Finora, solo la scelta di Steven Bannon come stratega ha permesso ai critici di gridare "al lupo al lupo" del suprematismo bianco, ma la contemporanea nomina a Capo di Staff dell'ortodosso repubblicano Prince Riebus, architetto delle operazioni del Comitato Nazionale Repubblicano che tanto ha fatto per portargli i voti negli stati ballerini, ha convinto chi e' in buona fede che il Trump antisemita, bigotto antidonne e razzista e' una barzelletta. Mnuchin e'ebreo (come la figlia Ivanka, del resto), nell'amministrazione ci sono finora gia' tre donne (con la Chao asiatica ai trasporti, la Haley indiano-americanaa dall'Onu e una nota filantropa pro charter schools all'Istruzione). Il pragmatico Trump non sta smentendo la sua campagna, dunque, vi sta rimanendo fedele. E il GOP sta adeguandosi al suo indirizzo. La dimostrazione che il nuovo leader e' sempre piu' preso sul serio dallo stesso establishment del GOP, e perfino dai Never Trump, viene dai colloqui con Mitt Romney e Kissinger, e dalla correzione di atteggiamento di Robert Gates, ex ministro di George Bush e di Obama ed autore di un articolo ferocemente anti Trump qualche settimana prima del voto. Il partito DEM non sta rispondendo come fece il GOP, che raccolse i cocci e resto' su una linea ragionevolmente conservatrice. Dopo Obama, il partito DEM, sempre piu' ostaggio delle minoranze e dei gruppi estremisti fiancheggiatori (BLM, OWS) sta reagendo alla moda del Labour Party inglese. Dopo la sconfitta elettorale dovuta alla capacita' dei conservatori (da Cameron a May) di attestarsi su un terreno accettabilmente di destra, i socialisti hanno virato ancora piu' a sinistra con Corbyn. I DEM orfani di Obama stanno per fare lo stesso, dando la direzione del Comitato Nazionale Democratico a un deputato del Minnesota, Keith Ellison, il quale non solo e' un ultraliberal ideologicamente, ma e' di religione islamica e con un controverso passato da negazionista dell'11 Settembre e da amico di Hamas. Quanto al ricambio dei quadri, dopo la decimazione di governatori, deputati e senatori nazionali e statali sotto Obama, la notizia piu' imbarazzante e' che il vice Joe Biden, 74 anni, evidentemente ringalluzzito dalla sconfitta della 69enne Hillary che lui non aveva avuto il fegato di sfidare, ha detto "non escludo di candidarmi nel 2020". Allora avra' 78 anni, e l'incertezza del messaggio sta solo nel dubbio se ci sara' ancora. di Glauco Maggi

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