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Trump fa irritare i sindacalisti: chi ha scelto come ministro del Lavoro

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Donald Trump ha scelto il ministro del Lavoro, Andrea Puzder, fuori dal giro della politica di partito, dell'accademia e degli avvocati, ma ben dentro il mondo del businness. Puzder, 66 anni, dal 2000 e' amministratore delegato della CKE Restaurants, holding di catene di fast food (Hardee's, Carl's Jr., La Salsa, e Green Burrito) che impiegano oltre 20 mila dipendenti. La sinistra ha preso la nomina di Puzder come una dichiarazione di guerra di Trump al movimento del sindacato organizzato, che peraltro, per contrastare la sua vittoria, aveva speso 100 milioni di dollari (i soldi degli iscritti) in spot e in militanza organizzata. Ma la verita' e' che le Union del settore privato sono un “movimento” numericamente marginale perche' soltanto il 7% dei lavoratori hanno la tessera, un terzo del 20% degli anni di Reagan (a sua volta noto fustigatore dei sindacati: basti ricordare il licenziamento in tronco di tutti i controllori di volo quando fecero uno sciopero illegale). Trump ha buon gioco nel sostenere d'aver creato, lui si', un vero “movimento”, di classe e di popolo, che gli ha fatto vincere la presidenza. Ecco perche' non ha esitato un attimo a zittire con un tweet un boss sindacale di rango nazionale, quello della Carrier. Lo scontro e' iniziato quando Trump ha annunciato di aver ottenuto che 1100 lavoratori sarebbero rimasti a Indianapolis invece di essere ricollocati in Messico. Chuck Jones, presidente dei metalmeccanici della United Steelworkers, gli ha dato del bugiardo perche' alla fine i dipendenti salvati sarebbero di meno, 800. In risposta, Trump ha twittato che Jones “ha fatto un terribile lavoro rappresentando gli iscritti, perche' avrebbe dovuto saper mantenere lui i posti in Indiana. Spendi piu' tempo a lavorare e meno a parlare! E riduci i contributi pagati dai lavoratori!”, l'ha apostrofato.  I sindacati USA sono in crisi non perche' Trump ha preso di petto un suo leader, ma perche' i vertici sanno che nella base il favore per Donald e' esteso e reale: gli exit poll dopo l'8 novembre negli Stati a piu' alta concentrazione di fabbriche e di iscritti, l'intero Midwest, Hillary ha superato Trump con un margine risibile nelle famiglie con uno o piu' membri iscritti al sindacato, mentre Obama aveva stracciato Romney nel 2012 con distacchi di svariate decine di punti. Trump e' convinto cosi' di essere immune dalla retorica degli attacchi che la burocrazia del sindacato, dal segretario nazionale Richard Trumka alla capa del sindacato degli insegnanti (pubblici) Randi Weingarten, gli ha scagliato per aver indicato come ministro Puzder, uno dei quattro o cinque milionari che il presidente eletto ha inserito finora nel suo team. Trump, di recente, ha difeso pubblicamente questa sua filosofia: “Prendo gente che ha fatto fortuna, e che e' tanto ricca di talento e patriottica da accettare di lavorare per il bene pubblico a 1 dollaro all'anno”. Come ha detto che fara' lui, rifiutando i 400mila dollari di paga annua per la presidenza. Aver pescato, con Puzder, tra i supermanager del fast food non e' stato un caso. Negli ultimi anni il settore e' stato coccolato dai sindacati e da Obama, e in campagna elettorale da Clinton e Sanders, come avanguardia nella battaglia per l'innalzamento, anzi il raddoppio, dello stipendio minimo federale dagli attuali 7,25 dollari a 15. Puzder, come tanti altri Ceo del resto, aveva ventilato l'intenzione di aumentare l'automazione nei ristoranti per ridurre il costo del personale. Quanto all'immigrazione irregolare, pero', Puzder non e' affatto un falco, avendo dichiarato che una soluzione dovra' essere trovata, perche' e' impossibile deportare 11 milioni di clandestini. L'agenda di Trump sul lavoro sara' sicuramente pro business, a partire dall'indicazione dei due membri mancanti sui cinque del National Labor Relations Board, l'organo che ha il compito di dirimere le dispute tra datori e dipendenti. Sulla paga oraria minima, pero', il presidente eletto aveva espresso in passato una certa apertura all'idea di portare il minimo sui 10 dollari, prima di congelarla in ossequio alle posizioni dei conservatori piu' ortodossi, la maggioranza dei congressmen del GOP, che giustamente sostengono che alzare il costo del lavoro, come per tutte le merci, provoca la sua riduzione sul mercato. Impossibile quindi prevedere quale atteggiamento avra' Trump una volta alla Casa Bianca sulla specifica misura dello stipendio minimo, che e' bloccato dal 2009, come pure sul recente ordine esecutivo di Barack che ha innalzato la soglia di reddito sotto la quale scatta la paga straordinaria, anche per le posizioni di supervisione una volta esenti. L'opzione ‘nucleare' che terrorizza le Union sarebbe l'estensione, a livello federale, della legge sul “diritto al lavoro”, oggi in vigore in 26 Stati. E' la misura che da' ai dipendenti il diritto di non doversi iscrivere ai sindacati, e di pagare le relative commissioni, per poter lavorare. Finora leggi di questo tenore sono sempre state fatte a livello statale, quindi la paura dei sindacati appare  infondata, e sventolata per propaganda preventiva. Trump commetterebbe infatti un enorme errore a non far proseguire la procedura che da' ai singoli Stati il potere di regolare in autonomia le proprie politiche del lavoro. Farebbe cioe' lo sbaglio speculare a quello sognato dalla sinistra dirigista e centralistica quando propugna una paga oraria minima nazionale di 15 dollari. Glauco Maggi twitter @glaucomaggi

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