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In Ecuador si vota: tra una settimanasi decide il destino di Julian Assange

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Che fine fara' Julian Assange? Dipende dagli elettori dell'Ecuador, che con il loro voto del 2 aprile decideranno, oltre a chi sara' il loro presidente, anche se il leader di WikiLeaks potra' restare ancora al sicuro nell'ambasciata di Londra del piccolo paese sudamericano (16,5 milioni di persone). Oppure essere estradato in Svezia, dove da anni e' ricercato per reato di abusi sessuali. E, ancora peggio, finire poi da Stoccolma negli Stati Uniti, dove ha conti sospesi ben piu' gravi giudiziariamente, legati alla disseminazione di segreti di Stato americani da parte di WikiLeaks. Vuoi vedere che trovera' la via per unirsi all'amico di merende digitali Edward Snowden, sotto l'ala di Putin? Per la verita', Assange aveva offerto mesi fa di essere estradato negli USA in cambio del perdono di Obama per Chelsea Manning, il militare transessuale che aveva dato a WikiLeaks migliaia di documenti digitali segreti dell'amministrazione americana. Ma Obama ha “perdonato” Manning, e Julian non si e' consegnato. Se in Ecuador dovesse vincere Lenin (sic) Moreno, il fantoccio che il dittatore rosso Rafael Correas ha scelto per la sua successione provvisoria dopo 10 anni al potere, per Assange non cambiera' nulla, e l'asilo verra' confermato. Ma se il nuovo presidente sara' l'ex banchiere Guillermo Lasso, lo sfidante che ha guadagnato il diritto al ballottaggio su posizioni di centro-destra e pro business, la sorte dello spione digitale mondiale sara' diversa: Lasso ha gia' promesso in campagna elettorale che espellera' Julian dalla sede diplomatica. In questa situazione, sarebbe un bel rischio per Assange rischiare tutto puntando sulla vittoria del candidato di ultra sinistra, ma il problema e' che non ha tante facili soluzioni a disposizione, con  una settimana scarsa per cercare un secondo nascondiglio sicuro. La semplice uscita dalla sede diplomatica “extraterritoriale” rappresenta un ostacolo tecnico e politico non da poco, visto che le autorita' inglesi hanno tutte le intenzioni di intercettarlo e che pende su di lui un avviso di cattura dell'Interpol, su richiesta svedese. Se le sorti di Assange sono un giallo diplomatico, l'esito delle elezioni non e' meno incerto, e di sicuro piu' importante per il popolo equadoregno, che ha davanti un bivio drammatico. Seguire il trend anti-sinistra populista che nelle elezioni recenti in Brasile, Argentina e Peru' ha estromesso i partiti socialisti e comunisti al potere, ridando speranza di crescita economia e di rispetto rigoroso delle regole democratiche? Oppure rimanere nel gruppetto dei regimi dittatoriali repressivi della liberta', e letteralmente affamatori, quali sono oggi la Bolivia e il Venezuela? In Ecuador Correas, con il suo partito Pais Alliance,  ha imposto un progressivo regime autoritario sin dal 2007, ricorda sul WSJ l'analista di politica sudamericana Mary Anastasia o'Grady, ed e' sulla scia dell'amico e compagno Chavez, e verso il ‘paradiso' castrista. Nel 2015 Correas ha cambiato la Costituzione, come fanno tutti gli aspiranti dittatori che pensano di salvare le forme, per consentire l'eliminazione dei limiti di durata della presidenza a partire dal 2017. Poi, sull'esempio di Putin che in Russia, per “rispettare” la Costituzione russa, fece fare il presidente a Dmitry Medvedev dal 2008 al 2012, ha deciso che ora, dal 2017 al 2021, sara' Lenin Moreno, gia' suo vicepresidente dal 2007 al 2013, a tenergli caldo il posto. Poi sara' ancora Correas a tornare in sella, e l'Ecuador avra' raggiunto la men che invidiabile condizione di Cuba e del Venezuela. Sempre che il popolo ecuadoregno, il 2 aprile, non decidera' il meglio per se', e il peggio per Assange. di Glauco Maggi

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