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Trump, le vere ragioni dietro i missili: un messaggio di forza a Putin e Iran

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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I due messaggi che Trump ha mandato insieme ai razzi sulla base aerea siriana sono chiarissimi: "Io non sono Obama", e "God Bless America and the world" (Dio benedica l'America e il mondo intero), la frase che ha chiuso la notte scorsa il suo annuncio del raid, dopo che si era appena concluso. Con il primo messaggio ha mostrato, con i fatti, la sua diversità - morale - rispetto al finto umanista Obama, che parlava parlava parlava ma non aveva fatto niente, dopo aver ammesso la violazione "della linea rossa dell'uso di armi chimiche" di Damasco per stoppare lo scempio della guerra di Assad contro il suo stesso popolo: quasi mezzo milione di morti tra i civili e il conseguente dramma dei rifugiati. E con il secondo messaggio, il richiamo alla "benedizione globale", Donald ha rimesso l'America nel suo ruolo storico di bastione contro le ingiustizie umanitarie più intollerabili, ed esplicitamente bandite dalle leggi internazionali come è l'utilizzo del gas nervino. Mentre la Corea del Nord, l'Iran e la Cina prendono nota che Trump non è un trombone, la Russia si è svegliata dal sogno di avere a Washington un docile "amico". Dai paesi baltici ex sovietici all'Ucraina, mutilata della Crimea da Putin, la sensazione di essere stati abbandonati da un presidente Usa "calcolatore" non ha più motivo di esistere. Per non parlare della fine che ha fatto la sostanza delle inchieste ancora in corso del Congresso americano e dell'Fbi sui "legami russo-trumpiani". Non è emersa alcuna prova di "inciucio segreto" tra Putin e Trump, ma se, per assurdo, fosse provato un qualche canale di comunicazione improprio tra i due durante la campagna e la transizione è evidente, da quanto è successo ieri, che il leader americano aveva comunque ben chiari, in mente, gli obiettivi strategici e i limiti di ogni eventuale collaborazione americana con la Russia. Evidentemente, l'uso dei gas da parte del protetto di Putin è andato ben oltre quei limiti. E il discorso di oggi di Nikki Haley, l'ambasciatrice Usa che è presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, è stato durissimo: ha detto che “l'America è pronta a fare di più”, e ha richiamato Iran e Russia a togliere la spina al regime siriano. Il leader americano è uomo pragmatico e non ideologico, disposto a fare accordi con tutti sul terreno commerciale e politico, ma è anche uomo di principi solidissimi nella tradizione dei presidenti americani di vaglia, da FDR a J.F. Kennedy, da Ronald Reagan ai due Bush. Chi lo aveva scambiato per anti-Nato e succubo di Mosca solo perché aveva chiesto (e continua a chiedere) alla cancelliera tedesca Angela Merkel e agli altri leader dell'Alleanza di pagare la loro quota contrattualmente prevista per pagare gli armamenti di difesa atlantica non aveva capito che voleva fare gli interessi economici dell'America, e non minare un'alleanza strategica di campo, irrinunciabile. Se con la strage dei civili siriani con il gas nervino Assad e i suoi padroni a Teheran e a Mosca volevano testare il nuovo presidente prima che compisse i famosi 100 giorni, imprimendo un marchio “obamiano” alla sua presidenza, hanno sbagliato i calcoli. Anzi, Trump è stato lestissimo a cogliere l'opportunità di poter dare una risposta vistosa, e solenne, ad Assad, e l'ha fatto in un modo che gli ha procurato un capitale di credibilità politica internazionale di enorme valore. Gli anti-americani nel mondo lo avevano fatto passare per pazzo e incompetente, un paria tra le elite di governo, ma ora basta scorrere le prese di posizione favorevoli dei tanti leader che hanno commentato il blitz, e che hanno capito che va preso molto sul serio. Tra gli altri, il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha espresso supporto all'attacco dicendo che il suo paese comprende e sostiene la strategia di Trump, spiegando che i bombardamenti “erano un mezzo per prevenire ulteriori deterioramenti della situazione” riferendosi agli attacchi chimici. Il premier australiano Malcolm Turnbull ha detto di sostenere “la pronta e giusta reazione” di Trump. Il vice ministro turco Numan Kurtulmus ha chiamato l'azione un “importante e significativo sviluppo”, e ha chiesto al mondo di essere ancora più duro con Assad: “Vediamo i raid come positivi, ma crediamo che debbano essere completati. La barbarie del regime di Assad deve essere fermata immediatamente”. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha emesso un comunicato affermando che “con le parole e con l'azione Trump ha mandato il messaggio chiaro e forte che l'uso e la proliferazione delle armi chimiche non saranno tollerati. Questa è stata una calibrata, proporzionata e mirata reazione”. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi

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