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Tom Perez, il nuovo leader democratico in prima linea contro la vita e i pro-life

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il nuovo leader del Comitato Nazionale Democratico, Tom Perez, ex ministro del Lavoro di Obama, ha detto che tutti i membri del partito che correranno per cariche pubbliche, ad ogni livello, dovranno sostenere i "diritti riproduttivi delle donne", che e' la formula usata dai liberal per definire l'aborto, avendo paura di usare la parola. Per alienare l'elettorato moderato e pro life e' quello che ci vuole. Perez e' stato eletto alla carica battendo sul filo di lana il deputato del Minnesota Keith Ellison, musulmano noto per essere stato un negazionista dell'attacco alle Torri Gemelle e per i passati legami con estremisti islamici. Ellison, che era appoggiato da Bernie Sanders nella corsa contro Perez, oggi e' il suo vicepresidente, e se possibile piu' a sinistra di lui. Perez si e' subito fatto la fama di oratore senza freni, con toni che hanno fatto scalpore tra gli indipendenti di buone maniere, chiamando Trump, nei comizi da neoleader del partito DEM, "uno che non gliene frega un c.zzo degli americani perche' vuole abolire Obamacare". E' il nuovo linguaggio della "resistenza contro il presidente Repubblicano", a supporto della strategia DEM dell'ostruzione contro il GOP in Congresso e fuori, su tutte le questioni, finalizzata idealmente alla delegittimazione di Trump, e possibilmente alla sua rimozione attraverso l'impeachment. Manifestazioni di questa linea "di strada" sono, e questa e' ancora una faccia presentabile, i cortei organizzati a Washington e nelle altre maggiori citta': per esempio quello delle femministe, subito dopo l'inaugurazione di gennaio, imperniato sulla lotta pro aborto, e quello degli "scienziati" di due settimane fa contro il global warming. Poi c'e' pero' anche la faccia piu' radicale, movimentista, molto piu' visibile, che sta trasformando i college in campi di battaglia fisica per impedire di parlare a professori e giornalisti non allineati alla sinistra, filo Israele, pro GOP. E' un gran brutto vedere, ma lo choc della sconfitta e' ancora li', che brucia e trascende. Peggy Noonan, commentatrice del WSJ che fu speechwriter di Reagan ed e' una recentissima vincitrice del Pulitzer (le ho dedicato un precedente articolo), ha scritto qualche giorno fa che "la fortuna di Trump, nei suoi primi 100 giorni, e' stata soprattutto di avere nemici cosi'". Ci sono tutte le premesse perche' questa buona sorte prosegua fino al 2020. Basta vedere come stanno nascendo le candidature per le primarie del partito Democratico che sogna di scalzare Donald dalla Casa Bianca alle prossime elezioni. Sara' una galleria di vecchie glorie con l'aggiunta di belle speranze, e magari spuntera' qualche outsider che oggi non ha ancora nome. Ma quello che e' gia' fin d'ora certissimo e' il colore: rosso pieno, senza sfumature. La gloria piu' vecchia che scendera' in campo e' Hillary Clinton. Battuta nel 2008 dal parvenu afro-americano, e umiliata nel 2016 dal miliardario a-ideologico che l'aveva voluta alle sue nozze con Melania tra gli "uno per mille" di New York, l'ex First Lady lancera' una nuova entita' politica, interna ai DEM, che ha gia' il nome e il direttore delle operazioni, che nel mondo clintoniano vuol dire "raccolta di fondi". Il gruppo si chiamera' "Onward Together" ("In avanti Insieme"), che riprende lo slogan dell'ultima campagna "Stronger Together" ("Piu' forti insieme") sfidando la scaramanzia, e un po' anche il ridicolo. Al fianco di Hillary c'e' Dennis Cheng, che era stato il responsabile dello sviluppo per la Clinton Foundation prima d'essere promosso direttore finanziario della campagna del 2016. Quel che sa fare e' spillare denaro ai facoltosi donor liberal, che stanno gia' prenotando contributi, tanto sconvolti sono dal Trump presidente da disprezzare la ragionevolezza. Ma la Clinton, sei mesi dopo la notte da incubo, vuole battere il ferro ancora caldo della rabbia dei Democratici e si e' messa al numero 1 della griglia di partenza, e bussa gia' alla cassa. Tra le altre vecchie glorie con il chiodo fisso ci sono, lo sanno tutti ma gli interessati fanno finta di tergiversare, il buon Joe Biden e il battagliero Bernie Sanders. La "speranza bella" e' la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren: fu costretta a rinunciare nel 2016 per lasciar vincere la Clinton, ma stavolta non si ritirera': per imprimere il tono giusto al suo messaggio, ha gia' criticato ferocemente Obama perche' l'ex presidente ha firmato due contratti sontuosi, da 400 mila dollari l'uno (equivalenti a un anno di stipendio alla Casa Bianca) con una ditta di pubblicita' e con una societa' finanziaria di Wall Street. Niente di meno. Barack e Michelle fanno quello che fanno tutti gli ex presidenti, e ora che non devono aizzare piu' l'odio popolare contro finanza e business lasciano il testimone all'ex alleata Warren, a Bernie, e a tutti quelli che competeranno per la nomination. Aspettiamoci anche Hillary, moglie del miliardario Bill (grazie anche ai discorsi fatti per le banche) scendere nell'arena dei fustigatori di Wall Street. Ci sara' una gara tra i DEM, nel 2019-2020, per chi sara' piu' a sinistra. Sara' interessante vedere se l'America vorra' "giocare al Venezuela". di Glauco Maggi

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