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Il "falso potere nero": ecco il risultatodi otto anni di Obama. Parola di nero

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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“False Black Power”, “Falso Potere Nero”. Dopo otto anni del primo presidente afro-americano alla Casa Bianca il bilancio dei progressi della comunita' nera e' fallimentare. In tutti i campi - economico, occupazionale, culturale -, meno che in quello della politica politicante. Per scrivere un libro con questo titolo, e con questo contenuto, nella patria della correttezza politica, ci vuole un bel coraggio. E una pelle nera come quella di Barack Obama. L'autore, Jason L. Riley, e' un giornalista afro-americano nato nel 1971, sei anni dopo la legge dei diritti di voto per tutti del 1965. Lui non ha patito le discriminazioni razziali in prima persona, quindi, e ha sfruttato il nuovo contesto legislativo laureandosi in Inglese all'Universita' di Stato a Buffalo (New York), la sua citta' natale, dove ha iniziato la carriera di redattore al Buffalo News, prima di passare ad Usa Today. A 23 anni e' stato assunto al Wall Street Journal e a 25 e' entrato nell'elite dell' editorial board, la sezione a se', gelosa custode dell'approccio conservatore e pro libero mercato, che cura gli op-ed e i commenti ed e' staccata dai reporter e dagli inviati incaricati di coprire la cronaca. Ma Riley non e' si e' accontentato di essere il testimonial di una realta' ormai conclamata, la possibilita' per i neri di fare una brillante carriera nei media. Del resto Dean P. Baquet, afro-americano vincitore di Premio Pulitzer, e' dal 2014 niente di meno che executive editor (direttore) del New York Times: la ciliegina di colore che l'editore Sulzberger ha voluto sulla torta liberal della “diversity”. Membro senior del pensatoio Manhattan Institute e frequente ospite del Journal Editorial Report su Fox e di altri programmi Tv, Riley si sta costruendo la fama di polemista conservatore a colpi di libri: prima del ‘Falso Potere Nero', appena uscito per i tipi della Templeton Press, nel 2014 aveva pubblicato “Please Stop Helping Us: How Liberals Make It Harder for Blacks to Succeed” (“Per favore piantatela di aiutarci: come i liberal rendono ai neri piu' difficile avere successo”).  Il tono dissacrante quanto documentatissimo delle analisi sociali di Riley e' nella scia dei suoi dichiarati maestri, gli economisti neri Thomas Sowell e Walter Williams. La differenza e' che i due intellettuali, Senior Fellow alla Hoover Institution della Stanford University il primo, e Distinguish Professor della George Mason University il secondo, sono nati nel 1930 e nel 1936, e quindi sono diventati i monumenti di scorrettezza politica che sono oggi avendo vissuto personalmente “il prima e il dopo 1965”. Riley sta percorrendo la stessa strada. Diverso dai diversi. Nero di destra che irrita i liberal piu' dei conservatori bianchi. Scomodo. Controvento. Ha scelto di raccontare l'America, le razze, i progressi sociali mancati della gente come lui, ma di cercare la colpa dov'e', senza la scorciatoia, o peggio il depistaggio, del razzismo. E' partito dalle vittorie elettorali dei neri, in termini di conquiste di cariche pubbliche e di annesso potere politico, per concludere che non sono affatto il viatico per il passaggio dalla poverta' alla prosperita' del gruppo etnico d'appartenza. Il passaggio della legge sul diritto di voto per tutti, in verita', ha prodotto una veloce infornata di afro-americani eletti. Nel Profondo Sud, da 100 del 1964 balzarono a 4300 nel 1978. Nei primi Anni Ottanta, le maggiori citta' USA a forte popolazione di colore, Cleveland, Detroit, Chicago, Filadelfia e Washington, avevano eletto tutte dei sindaci neri. Tra il 1970 e il 2010, il numero degli eletti neri a cariche pubbliche e' svettato da 1500 circa a oltre 10mila. Eppure, scrive Riley, il supposto miglioramento socioeconomico degli afroamericani non si e' mai materializzato. Anzi. Dal 1959 al 1992 (i dati sono ripresi da uno studio del 1995 della scienziata politica Jennifer Hochschild ) il tasso di poverta' e' sceso dal 55% al 33% tra i neri, e dal 18% al 12% tra i bianchi, cioe' “il rapporto tra poverta' nera e bianca e' rimasto a 3, non certo una vittoria nella guerra alla poverta' razzialmente sproporzionata”. E i neri dal basso reddito hanno perso terreno: dal 1967 al 1992 i redditi del quinto piu' povero dei neri sono diminuiti a un tasso doppio rispetto a quello dei bianchi comparabili. L'elezione di Obama e' stata una tappa di progresso civile che ha giustamente reso orgogliosa l'America, ma le aspettative “di pronta guarigione” che aveva generato sono state tradite. Poteva fare di piu' ? Forse si', ma il nesso tra avanzamento nella sfera della politica dei rappresentanti di una etnia e il benessere della gente comune di quello stesso gruppo e' elusivo, anzi inesistente. Lo dimostrano le esperienze degli emigranti dalla Germania, dall'Italia e dall'Asia, per non parlare degli ebrei. Tutti questi gruppi hanno visto i guadagni economici dei loro cittadini precedere i guadagni di potere politico. Semmai, l'esperienza dei neri ricorda quella degli irlandesi, la cui marcia dalla poverta' alla prosperita' e' stata la piu' lenta di tutti gli immigrati europei in America, ricorda Riley. Che cita Thomas Sowell: “La ricchezza e il potere di un numero relativamente minuscolo di capi politici irlandesi ebbe un impatto scarso sul progresso delle masse degli irlandesi americani”. All'opposto i tedeschi, che erano arrivati come “servi”, trascurarono la politica interamente e si dedicarono a lavorare duro per tantissimi anni: volevano prima ripagare il costo del viaggio e poi rendersi indipendenti e floridi. Anche le prime generazioni di immigrati ebrei e italiani subirono umilianti discriminazioni sociali ed economiche, e il riscatto dei due gruppi non e' venuto certo dai politici del Palazzo. E' una lezione severa, e Riley la impartisce senza zuccherini. di Glauco Maggi

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