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Trump non piace alla maggioranza degli americani?Giornalisti e parlamentari piacciono ancora meno

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Quando Trump strapazza i ‘media' con i suoi tweet sfacciati scandalizza di sicuro i commentatori in punta di penna d'ogni colore. Soprattutto quelli di sinistra che non pubblicano la Notizia Vera della CNN che licenzia tre giornalisti in una botta sola per aver scritto una Notizia Falsa sulla collusione di Trump con i russi. Ma che poi pontificano severi e rigorosi sulla volgarita' del presidente che fa a botte con un fantoccio della CNN in un video satirico di quart'ordine. Ma e' cosi' fuori dal mondo Donald? A leggere l'ultimo sondaggio Marist per la National Public radio si trova una conferma della sua impopolarita', ma anche una sorpresa che non fara' notizia, tanto per cambiare. La conferma e' che il 61% degli americani non si fida della amministrazione Trump. Niente di nuovo rispetto alla media dei sondaggi (curata da RCP) delle ultime settimane, che danno il 40% di approvazione al lavoro del presidente (con il 54,6% che disapprova). La Casa Bianca di oggi, insomma, non piace alla maggioranza dei cittadini, punto. E la sorpresa? I parlamentari e i giornalisti piacciono ancora meno di Trump. E non perdono al fotofinish, ma per ben 7 punti di distacco. Il 68% degli interpellati hanno infatti detto che non hanno fiducia nel Congresso e nei media, contro il 61% che non si fidano del presidente. Il corpo dei legislatori sta offrendo uno spettacolo di inefficienza (costante, e' la stessa degli anni di Obama) non approvando le riforme e le misure che si aspettano i cittadini. E i media sono bocciati perche' Trump, evidentemente, ha ragioni da vendere quando chiama la stampa mainstream “fake'', fasulla, iper-politicizzata contro di lui, non obiettiva, militante. La prova? Le ritrattazioni e le correzioni che CNN, AP, New York Times hanno dovuto fare di vari articoli contro Trump a proposito della Russia poiche' dicevano il falso. Se il dato medio complessivo e' un giudizio negativo verso i media per il 68%, la scomposizione per partiti dei voti del campione e' prova della imparzialita' rampante. Tra i repubblicani interpellati, solo il 9% si fida delle notizie che legge. All'opposto, i sedicenti democratici che si fidano di giornali e televisioni e' il 56%. Piu' della meta' dell'America che ha eletto questo presidente ha la sua stessa opinione negativa verso i mass media. Non c'e' dubbio che Trump, avendo messo nel mirino la stampa di sinistra (che copre tra l'80% e il 90% dello spettro disponibile) contribuisce a rafforzare la polarizzazione. Ma da dove cominciare nell'opera, auspicabile, di ripristinare nel paese un tasso di fiducia accettabile nello strumento fondamentale di una democrazia? Negli Usa l'orientamento filo-sinistra dei media non e' nato con Trump, e tantomeno e' un fenomeno solo americano. Reagan, Bush padre, Bush figlio sono sempre stati oggetto di critiche spietate dalla stampa mainstream, per chi erano come persone e per le idee che propugnavano: cioe', perche' erano repubblicani. Gli otto anni di Obama hanno poi esasperato il campanilismo nelle redazioni: i reporter filo DEM osannanti per Barack e Michelle si sono inaciditi per aver perso le elezioni, personalmente impegnati come sono stati nella campagna del 2016. E' un fatto ufficiale che il 90% e passa dei finanziamenti individuali dei giornalisti ai candidati presidenti siano andati a Hillary. Oggi, la “resistenza” a Trump nei quotidiani e nelle Tv e' un approccio esplicito, persino dichiarato dalle firme piu' “oneste”. E' in questo clima di partigianeria conclamata che, sapendo di avere un largo e duro zoccolo di aficionados, Trump insiste nelle sue provocazioni. L'ultima e' un tweet di oggi 4 luglio, festa della Indipendenza: “A un certo punto i media falsi (Fake News) saranno forzati a discutere dei nostri grandi numeri sui posti di lavoro, della forte economia, dei successi contro l'ISIS, i confini & cosi' tante altre cose”. E' una battuta che spiega il livore di non essere preso sul serio, e giudicato, per la sua azione politica e le cose concrete che ha fatto finora. Ma Trump e' l'ultimo a illudersi che i media ostili possano mai convertirsi ad un atteggiamento diverso dalla guerra totale contro la sua presidenza. La sua Casa Bianca e' destinata ad essere quella dei “se”. Se non fosse stato eccessivamente aggressivo e volgare verso i suoi nemici. Se non avesse messo in imbarazzo tanti suoi amici e alleati politici. Se avesse ascoltato le suppliche a mollare twitter (anche dai suoi familiari)…   Le prime conclusioni si tireranno nel 2018, quando si vedra' l'esito delle elezioni di medio termine per il rinnovo del Congresso. Si potranno calcolare gli effetti sul voto di una stampa screditata e di un presidente incontinente. Sara' un bel match e preparera' lo showdown presidenziale del novembre 2020. A proposito: non date troppa importanza ai sondaggi. La vittoria di Trump, non prevista da quasi tutti i sondaggi del 2016, insegna: secondo il Marist, oggi, ai sondaggi crede solo un americano su tre (35%), contro il 61% che non ha fiducia. di Glauco Maggi

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