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Trump, i dazi su acciaio e alluminio una follia che penalizzerà milioni di americani

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Trump ha mantenuto il suo impegno elettorale di difendere l'industria manifatturiera pesante americana, annunciando davanti a un gruppo di dirigenti delle maggiori aziende del settore, tra cui la US Steel e la Century Aluminium, che alzera' le tariffe sulle importazioni di acciaio (del 25%) e di alluminio (del 10%). La Borsa ha reagito pesantemente, portando il Dow Jones sotto il livello di inizio anno in due sedute, e il rigetto degli investitori alla decisione dovrebbe aprire gli occhi al presidente, cosa che non e' evidentemente riuscita allo staff degli economisti della stessa Casa Bianca che avevano magistralmente guidato due mesi fa il Congresso a votare il piu' massiccio taglio delle tasse alle corporation e alle famiglie dai tempi di Ronald Reagan. Paghe e contributi previdenziali hanno gia' iniziato a salire il mese scorso, e la frustrazione dei Democratici ha spinto Nancy Pelosi a definire “briciole” i bonus da 1000 dollari dati in gennaio a milioni di dipendenti da centinaia di imprese. Grazie anche alla piu' intensa opera di deregolamentazione amministrativa mai realizzata prima da un presidente americano, Trump ha rivitalizzato l'entusiasmo degli imprenditori grandi e piccoli; ha abbassato il numero dei sussidi di disoccupazione al record storico di poco piu' di 200 mila richieste alla settimana; ha aumentato le percentuali di lavoratori neri e ispanici e delle donne; ha fatto schizzare l'indice ISM delle manifatture a un brillante 60,8. Nel 2017 le politiche di Trump hanno avviato la crescita del PIL verso quel 3% annuo che gli economisti di Obama dicevano impossibile da raggiungere. Il presidente, risalito piano piano nei sondaggi in febbraio proprio perche' le notizie economiche stanno via via migliorando, doveva godersi il 2018 senza rovinare il giocattolo che aveva lui stesso regalato al paese. Bastava stare fermi e far maturare il sistema. Invece si e' lanciato in una guerra protezionistica che non fara' bene all'America, e a nessun altro paese. Trump, sostenuto solo dal ministro del commercio Wilbur Ross e dal consigliere economico Peter Navarro, pensa che gli USA siano stati finora maltrattati dai partner internazionali, e che sia l'ora di ripristinare il “commercio corretto” abbandonando il “commercio libero”. Il presidente ha sparato in un tweet che “le guerre commerciali sono una cosa buona, e sono facili da vincere” e ha annunciato un ritorno nostalgico al passato: “Le aziende USA dell'acciaio erano molto piu' grandi, e saranno ancora piu' grandi”. L'impatto immediato potra' magari anche essere un aumento temporaneo dei profitti degli executives e degli azionisti della US Steel e della Century Aluminium, le sole societa' quotate a salire nella seduta di giovedi' (+5,8% e piu' 7% rispettivamente), contro il crollo di tutte le altre, a partire dalle Big dell'auto di Detroit (Ford -3%, GM – 4%), le quali dovranno pagare di piu' la materia prima con cui costruiscono le vetture. Che ovviamente rincareranno di prezzo. Ma non ci sono solo Ford, Fca e GM quando si analizza chi e' destinato a perdere dalle tariffe. Negli USA ci sono 6,5 milioni di lavoratori in imprese di tutti i settori che usano l'acciaio, contro i 140mila delle societa' che lo producono. Questa minoranza avra' un beneficio iniziale dal “favore” di Trump, prima di vederlo affievolito via via che i prezzi piu' alti dei prodotti finali spingeranno i consumatori a ridurre gli acquisti. Il WSJ, che papale papale titola “La follia delle tariffe di Trump”, ricorda che il comparto dei trasporti negli USA, compresi auto e aerei, pesa per il 40% del consumo di acciaio domestico, seguito dal packaging (contenitori per spedizioni) con il 20% e dalle costruzioni con il 15%. Dovendo pagare di piu' la materia prima, queste imprese saranno meno competitive in patria e fuori. Trump ha citato la sicurezza nazionale tra i motivi per cui va rafforzata l'industria domestica dell'acciaio: “Un paese senza acciaio non e' un paese”, ha twittato. Ma scorrendo la lista delle nazioni da cui ora le aziende USA importano l'acciaio si vede che il grosso viene da partner alleati, da cui comprare di piu', in tempi di una eventuale urgente necessita' bellica, non sarebbe un problema. Il Canada e' il primo paese per esportazioni di acciaio in Usa, con il 16,1%, (ma e' contemporaneamente l'acquirente del 50% dell'acciaio esportato dall'America); seguono Brasile (13%), Sud Corea (10,2%), Messico (9%), Turchia (6,3%), Giappone (5%), Germania (3,8%), Taiwan (3,5%), India (2,4%). I due “nemici” potenziali, Russia (con l'8,7%) e la Cina (2,2%) pesano insomma soltanto per l'11% scarso del fabbisogno americano attuale. I primi a criticare subito Trump senza misurare le parole sono stati due senatori del GOP, Orrin Hatch (Utah) e Ben Sasse (Nebraska), ed e' auspicabile che il provvedimento protezionistico, che e' stato annuciato ma non e' ancora ufficiale, venga rivisto prima che siano varate le misure di rappresaglia. I paesi partner colpiti staranno gia' sicuramente studiandole. A sentire le peggiori conseguenze negli USA potrebbero essere i produttori agricoli (le carni e la frutta USA sono venduti in tutto il mondo) e i lavoratori delle fabbriche che fanno beni da esportazione: guarda caso, e' larga parte della base elettorale popolare che ha dato a Trump la vittoria nel Midwest e nell'America rurale. Pensando al 2020, Trump avrebbe quindi ancora il tempo di correggere la “follia” denunciata dal GOP liberista e conservatore e, piu' in generale, dal partito trasversale e internazionalista favorevole al “libero commercio” come motore (dimostrato) della crescita globale. Ma lo fara'? Del resto anche Bernie Sanders e Hillary avevano promesso di cancellare i patti di libero commercio con gli altri Paesi (come il Nafta firmato da Bill Clinton), ed e' molto improbabile che chi sfidera' Trump alle prossime presidenziali lo attacchera' per il suo protezionismo. I DEM, per ora, si accontentano di vedere Trump vilipeso dalle elite e dai media per il suo nazionalismo economico, e imbarazzato dalla bocciatura delle borse che si sgonfiano. Sperano che quello di Trump sia un autogol che vanifichera' i successi economici realizzati finora dalla Casa Bianca, minandone la credibilita' e l'immagine e indebolendo il partito repubblicano al voto di medio termine fra otto mesi. Nessuno dei pezzi grossi Democratici ha la voglia e l'ardire di lodarlo per la protezione dell'acciaio a stelle e strisce. Cosa che ha fatto invece, immediatamente, Richard Trumka, il presidente del sindacato USA AFL-CIO, con un comunicato di lodi sperticate a Trump: “Per anni noi abbiamo richiamato l'attenzione sulle pratiche predatorie di certi paesi esportatori di acciaio. Simili pratiche colpiscono i lavoratori e barano a danno delle imprese che producono negli USA. Noi applaudiamo gli sforzi dell'amministrazione tesi ad aggiustare questo problema”. Avanti, compagno Donald! di Glauco Maggi

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