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Storia di Atchugarry, il Michelangelo del lago di Como

Nicoletta Orlandi Posti
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Pablo Atchugarry viene considerato il Michelangelo del XXI secolo: come lui lavora lo statuario di Carrara per sottrazione, per liberare cioè l' opera dalla materia, e come lui affida alle sculture che crea il messaggio di vita che è dentro alla sua anima. Creazioni monumentali che sembrano dilatarsi e tendersi verso il cielo, una quarantina delle quali sono esposte fino al 7 febbraio 2016 nella cornice senza tempo dei Fori romani, con i Mercati traianei a far da sfondo. «Città Eterna, eterni marmi» si chiama la sua mostra (promossa dall' Ambasciata dell' Uruguay in e fortemente voluta da Sylvia Irrazabal) e l' artista ci confessa che quando l' ha vista allestita ha avuto «l' impressione che le sue opere appartenessero a quel luogo, alla storia di quel posto», «che fossero nate per stare lì». Il rapporto del maestro Atchugarry con il passato è molto forte («Il marmo crea continuità con il passato visto che lo scultore contemporaneo continua a lavorarlo come gli scultori dei secoli passati»), così come con il futuro. È per questo che ha voluto fare una serie di incontri e dei laboratori dedicati ai ragazzi. «Quando li vedo toccare le mie sculture, quando affrontano la materia che pongo loro di fronte, quando fanno domande così circostanziate sul mio lavoro, devo ammettere che mi emoziono», racconta l' artista. «Mi riempiono il cuore e mi rendono fiducioso sul futuro dell' umanità». Il pensiero corre inevitabilmente ai fatti di cronaca, all' Isis, alla sua barbarie nei confronti degli uomini e delle opere d' arte come quelle di Hatra, Mosul e Nimrud. «È folle che ci sia qualcuno che distrugga per imporre una cultura. Dobbiamo fare in modo che la bellezza diventi un punto di forza contro queste potenze oscurantiste», tuona Atchugarry sottolineando come sia importante aver cura dei reperti del passato ma allo stesso tempo sia necessario aggiungere tracce del nostro passaggio. E su questo il maestro non fa grande differenza fra arte e artigianato di qualità: «Non c' è un vero limite», spiega, «l' importante è che la creazione nasca attraverso la mente, il cuore e la mano». Ed è proprio così che è nata "La vita dopo la vita", l' opera alta 5 metri e 30 centimetri che ha accolto i visitatori del padiglione dell' Uruguay all' Expo. «È stata creata da un albero d' ulivo pluricentenario, mi dissero avesse addirittura 800 anni. Era ormai morto e sarebbe diventato legna da ardere. La sua figura mi colpì, era come se mi chiamasse: era una pianta vissuta centinaia di anni ansiosa di raccontare i segreti della sua vita. Lo feci portare nel mio laboratorio e tempo dopo iniziai a scolpirlo: quella meraviglia della natura era viva e aveva bisogno dell'arte per continuare il suo cammino. Da qui il nome che le ho dato: "La vita dopo la vita"». Nato a Montevideo nel 1954, Pablo Atchugarry vive a Como. «Conoscevo una pittrice, fu lei a parlarmi di Lecco. Era il 1977», racconta. «In quel periodo stavo preparando delle mostre di quadri, poiché ai tempi mi interessava la pittura, e decisi di passare da lì. Quella città mi affascinò, in particolar modo il suo lago e le sue montagne. Un anno dopo ho inaugurato la mia prima esposizione in Europa alla Galleria Visconti. Poi mi rimisi in viaggio per altre mostre in giro per il mondo. Tornai a Lecco nel 1982 e ci rimasi. Da allora vivo lì e ne sono felice. Amo l'Italia e sono fiero di esserne cittadino». (Foto di Giuseppe Guarnieri)

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