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Verona, Villa Francescatti: ai profughi l'ostello del Cinquecento e gli allenamenti gratis

Andrea Tempestini
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Ai richiedenti asilo non basta più neppure l'allenatore personale di atletica leggera. Altro che smartphone, wifi, pay tv per seguire la Coppa d'Africa, cuscus al posto della pasta e altre preteste che negli ultimi anni in Italia sono state la miccia delle rivolte di migliaia di profughi, veri o presunti. Ora per evitare le proteste degli immigrati africani non è sufficiente neanche che i responsabili del centro d'accoglienza di turno gli mettano a disposizione un tecnico di salto in alto. Anzi è proprio chi beneficia di questi privilegi che guida le ribellioni. Non ci credete? Omar è un ragazzone di 25 anni, viene dal Senegal, e da qualche mese è alloggiato all'ostello della gioventù di Verona «Villa Francescatti» assieme ad altri 90 richiedenti asilo provenienti da ogni angolo del Continente Nero, 54 dei quali soggiornano nell'adiacente struttura dell'ex convento di suore di Santa Chiara. In patria, Omar, era un campione di salto in alto. Ha ottenuto riconoscimenti e onori. La voglia di Europa però l'ha convinto ad abbandonare tutto e a partire su un barcone alla volta della Sicilia, da dove è stato poi trasferito a Verona. Appena messo piede all'ostello, uno stupendo complesso cinquecentesco di proprietà della Diocesi e gestito dal Centro Cooperazione Giovanile Internazionale - nelle stanze ci sono affreschi e incisioni - ha chiesto e ottenuto un preparatore per continuare ad allenarsi. Sennonché proprio lui da qualche giorno è uno dei capi dei disordini che stanno facendo vivere nella paura non solo i 22 dipendenti della struttura, ma un intero quartiere, San Giovanni in Valle, uno degli angoli più suggestivi di Verona, a due passi dal Teatro Romano e a 20 minuti scarsi a piedi dall'Arena. Il custode dell'ex convento, un signore anche lui africano, dorme col piccone sotto il cuscino: teme aggressioni da parte degli ospiti. I responsabili del centro dosano le parole per paura di irritare gli immigrati. I residenti della zona, per rientrare a casa alla sera, fanno il giro largo e parcheggiano la macchina a centinaia di metri di distanza. Martedì, in concomitanza con la ribellione dei richiedenti asilo all'ex base militare di Conetta, nel Veneziano, una cinquantina di immigrati si erano riversati in strada bloccando il traffico e prendendo a calci le macchine in sosta. Avevano protestato per le solite cose, ossia per la presunta scarsa qualità del cibo - accusando i responsabili della struttura anche di dargli latte scaduto, fatto che sarebbe stato smentito dalle verifiche - e per i ritardi nel rilascio dei documenti, ma hanno dato in escandescenze anche per motivi più singolari, diciamo così, ovvero per il fatto che gli verrebbe data solo l'acqua del rubinetto (la bevono milioni di italiani ogni giorno) e perché dalle 9 alle 12,30 e dalle 14 alle 16 non possono rimanere in stanza. «Mica li lasciamo per strada al freddo!» ci dice sbattendo i pugni sul tavolo del suo ufficio Fiorenzo Scarsini, direttore del Centro Cooperazione Giovanile Internazionale, insegnante in pensione. «Possiamo pulire le stanze o no? Loro possono stare nelle sale comuni, nelle aule dove abbiamo due insegnanti d'italiano o nella zona bar». Parte degli immigrati stanno portando avanti anche uno sciopero della fame: «Fanno finta» taglia corto Scarsini. «Mangiano patatine di nascosto. Piuttosto la cosa preoccupante è che dietro tutto questo c'è una regia esterna. Le ribellioni sembrano organizzate a tavolino, in Italia molte proteste si verificano negli stessi giorni. Non so chi ci sia dietro, ma sono convinto che sia tutto studiato». E Omar? Come può chi ha ricevuto persino un trattamento di favore fomentare i compagni? «Appunto: ricevono indicazioni precise. Fino a qualche mese fa il rapporto con gli ospiti era ottimo. D'improvviso hanno cambiato atteggiamento». Il gestore sta pensando di chiedere alla prefettura lo sgombero delle due strutture. «Inostri bilanci sono pubblici, ci danno 30 euro al giorno a ospite ma quasi tutto viene reinvestito negli stipendi del personale e per aiutare i migranti. Non ho bisogno di guadagnarci, sono di famiglia benestante» conclude Scarsini. «Abbiamo speso 4.500 euro di dentista per un ragazzo eritreo che si guadagnava da vivere come cantante ma che senza due denti non riusciva più a esibirsi». Gli immigrati, per lamentarsi della loro condizione, hanno scritto una lettera al Comune e alla prefettura: «Si sono inventati che gli diciamo di scendere dal marciapiede “quando passa l'uomo bianco”. Vi pare possibile? Qualcuno li sta aizzando». di Alessandro Gonzato

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