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Messina: inquirenti, cybercriminali agivano mentre erano agli arresti domiciliari

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Palermo, 8 mag. (AdnKronos) - Attivavano presso i provider delle caselle di posta elettronica certificata (PEC) con indirizzi del tutto simili – differenti magari solo per il dominio su cui erano attivate – a quelle effettivamente in uso ad alcuni istituti d credito. Ecco come funzionava il metodo utilizzato dai "cybercriminali", come sono stati definiti dagli inquirenti, arrestati all'alba di oggi dai Carabinieri del Comando provinciale di Messina, guidati dal colonnello Jacopo Mannucci Benincasa. "Ad esempio è stata creata la mail fraudolenta [email protected] al posto di quella [email protected] oppure quella fraudolenta [email protected] al posto di [email protected]. - spuegano gli investigatori - Queste caselle di posta certificata erano attivate, sempre via web, fornendo delle false identità, talvolta completamente inventate e talvolta rubate ad ignare vittime, senza che vi fosse alcun controllo né sulla reale identità di colui che le attivava né sul suo titolo ad operare in nome e per conto di quell'istituto di credito". A questo punto i malfattori, per il tramite di alcune Camere di Commercio alle quali venivano inoltrate richieste di variazione dell'indirizzo PEC di alcuni istituti di credito, ottenevano la sostituzione di quello genuino con quello fraudolento – in tutto simile a quello originale – ma da loro attivato. Una volta modificato e pubblicato, il falso recapito web della banca veniva automaticamente aggiornato in tutti i principali elenchi online (registroimprese, Telemaco-infocamere, inipec.it etc). Interponendosi con questo stratagemma tra il cliente interessato a contattare la banca e l'istituto di credito, mettendo in atto una tipica modalità di attacco cibernetico conosciuta con l'acronimo inglese M.I.T.M. (man in the middle), i truffatori ricevevano la mail del cliente che credeva di contattare la propria banca per rappresentare le proprie necessità (ad esempio chiusura o apertura di conti correnti ovvero successioni mortis causa) e, una volta stabilito il contatto, carpivano la fiducia delle vittime e le inducevano a fornire le credenziali di accesso ed i codici operativi dei conti che utilizzavano per sottrarre il denaro. I proventi sottratti venivano riciclati attraverso una sequenza di svariati bonifici effettuati su una serie di conti correnti, aperti fraudolentemente e, in taluni casi, intestati alle stesse ignare vittime.

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