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Dal primo luglio aumentano le tasse

Lucia Esposito
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La parola patrimoniale resta un tabù. Ma, nei fatti, ormai ci siamo. In meno di tre anni i balzelli sul risparmio si sono moltiplicati: bolli sui depositi titoli, aumenti di aliquote dal 12,5 al 20% (gennaio 2012) su titoli, fondi e conti di deposito, nuovi aumenti dei bolli dallo 0,15 allo 0,20%, la novità della Tobin tax all'italiana suggerita da frau Merkel, che ben si è guardata dall'imporla ai contribuenti tedeschi. Ora, a completare l'opera, arriva, a far data dal 1° luglio, l'aumento dal 20 al 26% delle aliquote sulle rendite finanziare tra cui rientrano gli interessi e altri proventi derivanti da conti correnti e depositi bancari e postali, obbligazioni, nonché sui proventi di fondi comuni (salvo la parte investita in titoli di Stato), sulle polizze vita, i dividendi e le plusvalenze sulle azioni. Tutto quanto, insomma, con l'eccezione di Bot, Btp e buoni fruttiferi postali (e delle varie emissioni degli enti internazionali riconosciuti, vedi Bei, Birs, Banca Mondiale) che restano al vecchio 12,5%. L'operazione che, secondo un tweet del responsabile economico del Pd Filippo Taddei, costerà ai contribuenti italiani «meno di un caffè al mese», è presentata come l'adeguamento del fisco italiano alle aliquote in vigore nel resto d'Europa, necessaria per finanziare il taglio dell'Irap. Nel corso del 2014, il caffè del dottor Taddei comporterà per le tasche dei contribuenti un salasso di circa 755 milioni, tanti quanti ne produrrà il prelievo da conti correnti, libretti postali e certificati di deposito. Ma già nel 2015 il gettito previsto salirà a 3 miliardi. In linea con il resto d'Europa. O no? È assai dubbio che con questa manovra il livello della tassazione delle rendite finanziarie si adeguerà alla media europea, come sostenuto dal governo. Al contrario, con le ultime modifiche i risparmiatori italiani si inseriscono anche in questo campo a pieno diritto tra i più tartassati al mondo. Prendiamo, tanto per fare un esempio, il caso di un investimento di 10 mila euro con un rendimento del 3% in un anno con un profitto di 300 euro. A questa somma devo sottrarre il 26%, ossia 78 euro cui devo aggiungere l'imposta di bollo dello 0,2 per mille che si applica sull'intero capitale investito (in questo caso 20 euro). Alla fine pagherò dunque all'erario 98 euro, il 32,6% dei miei guadagni. Ma se il rendimento ottenuto in un anno fosse invece del 2% il prelievo sarebbe di 72 euro: il 36% dei profitti. Senza contare la Tobin tax dell'1 per mille che si applica in caso di vendita di titoli di società italiane. Insomma, più basso è il rendimento degli investimenti (come in questa stagione di costo del denaro in discesa) e più alta la tassazione, perché incide di più il bollo. Che succede negli altri Paesi? Le aliquote, è vero, sono simili o anche più alte. Ma gli altri Paesi europei hanno una tassazione Irpef notevolmente più bassa e offrono servizi migliori dei nostri. Non solo. Un po' ovunque, la tassazione sulle rendite punta a incentivare il rispa[/TESTO]rmio delle famiglie con due obiettivi: rafforzare il terzo pilastro previdenziale per contrastare la crisi della previdenza pubblica; incanalare risorse verso le imprese. In Gran Bretagna l'imposta dal 2010 è stata aumentata dal 18 al 28% ma resta al 18% per coloro che dichiarano redditi non superiori alle 35 mila sterline. Londra ha poi varato di recente conti intestati a minorenni, smobilizzabili solo con la maggiore età e completamente esentasse. In Francia l'imposta arriva a sfiorare il 35% nel caso dei contribuenti più abbienti, ma esiste un forte sgravio per i risparmi delle famiglie investiti per almeno cinque anni. La Germania ha un'aliquota pari alla nostra, oltre il 26%, ma prevede sconti fiscali fino a un certo tetto ed è prevista la compensazione tra redditi di capitale (cedole e interessi) e redditi diversi. Giusto o sbagliato, tutti hanno un metodo. Nel Bel Paese si continua a procedere a singhiozzo con il solo obiettivo di far cassa, il più delle volte a carico del ceto medio, la base dell'Italia che risparmia. Senza badar troppo alla logica. La conferma, sintomatica, sta nell'aumento dello 0,5% (all'11,5%) dell'aliquota dell'imposta sostitutiva a carico dei fondi pensione complementari. La novità "provvisoria" (ma nulla è più definitivo dei provvedimenti temporanei...) vale solo per il 2014 e non annulla i benefici della previdenza complementare cui hanno aderito 6 milioni di italiani. Ma introduce un precedente pericoloso, che ancora una volta va nella direzione opposta alle dichiarazioni ufficiali. Basti citare, oltre al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan che parla della necessità di diminuire le tasse mentre il suo governo le aumenta, il collega del Lavoro Giuliano Poletti, che all'assembla delle Coop ha affermato con enfasi che «è imprescindibile che i cittadini siano attivi nel costruirsi una copertura pensionistica e sanitaria ma, allo stesso tempo, le autorità hanno il dovere di creare i presupposti per un ambiente che possa incentivare iscrizioni e contributi». Manco il tempo di finire il discorso ed ecco in arrivo l'aumento… Ugo Bertone 

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