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I 6 Paesi dove conviene fare impresa

Lucia Esposito
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Gli ultimi dati aggiornati risalgono al 2011. E dicono che nel decennio precedente 27mila aziende tricolori hanno delocalizzato. Nel 2012 c'è stato un rallentamento. Poi la fuga è ripresa per via di quello che in gergo si chiama marketing territoriale, cosa sconosciuta in Italia. Le regioni industrializzate del Nord sono bersaglio di una capillare propaganda dei territori di confine. Austria, Macedonia, Inghilterra, Svizzera e tutto l'Est cercano di convincere gli industriali tricolore a investire da loro. Ma non è un lavoro impegnativo. Come dice un vecchio detto: l'acqua va sempre in giù. E le nostre aziende scappano spontaneamente. La classifica Doing Business della Banca Mondiale, ovvero quella che misura la capacità di stimolare gli affari, mette l'Italia al 66esimo posto. Su 189. La Macedonia è al numero 26. L'Austria al 31, Berna è 30esima. Immaginate una srl italiana che fatturi 500mila euro. Su un utile di 80mila ne versa circa 50 di tasse e imposte. Senza contare nel corso dell'anno avrà dovuto pagare caro il commercialista. Versare allo Stato il doppio di quanto paga ai dipendenti. Perdere ore per stare dietro alle lettere dell'Agenzia delle Entrate e perdere produttività per corsi praticamente inutili. Che nessuno può evitare. Visto che l'amministratore ne risponde penalmente. All'estero invece non solo si troverebbe a pagare meno tasse, ma vivrebbe anche l'approccio da buon padre di famiglia da parte dello Stato. Senza dimenticare il macigno della giustizia civile. Per questo, Paesi come l'Inghilterra che hanno sofferto la crisi restano molto più attrattivi di noi. Londra e Vienna - Chi si sposta da Milano a Londra fa immediatamente un vertiginoso salto nella classifica della World Bank: si passa, infatti, 11esimo posto del Regno Unito. Se invece prendiamo in esame la possibilità di accedere al credito, dettaglio non secondario per chi mette su un'impresa, abbiamo un passaggio shock dal 109esimo posto dell'Italia al numero uno occupato dai britannici. Le fasce di tassazione aziendale sono definite da due limiti marginali. Su un profitto inferiore a 300mila sterline si paga il 20% di aliquota; Sopra 1,5 milioni, il 22%. Una curiosità: a Londra solo se si superano le 77mila sterline di reddito si è obbligati ad aprire una Partita Iva. Incentivo sufficiente a far dimenticare il costo del lavoro. A conferma che è la somma dei benefici che va messa in conto. Come nel caso di Vienna. I numeri dell'esodo non sono ufficiali. Parlano di 700 imprese per il solo Veneto, tredicimila posti di lavoro. Esistono benefici fiscali per l'apprendistato e sull'Ires. L'imposta sui redditi da capitale prevede un'aliquota fissa del 25% e non esistono imposte come l'Irap. In Carinzia servono sette giorni per una concessione edilizia e 80 per un impianto industriale e ci sono finanziamenti fino al 25% degli investimenti in ricerca e sviluppo. Berna - Meglio nei cantoni svizzeri costretti a farsi concorrenza reciproca. Coira, il capoluogo dei Grigioni, è tra i più agguerriti. Non tanto in termini di imposte basse e di costi deducibili, ma di servizi alle imprese. I comuni costruiscono zone industriali e vendono o affittano alle aziende direttamente capannoni compresi di allacciamenti. Con incentivi legati agli investimenti e alle assunzioni, secondo il lungimirante principio contribuire al Pil pagare meno tasse e oneri. L'obiettivo è lasciare che il tempo sia dedicato al lavoro. Macedonia e Albania - Negli ultimi cinque anni si sono affacciati sulla scena concorrenti giovani che rischiano di superare l'insegnamento appreso da Svizzera e dal mondo anglosassone. In primis Macedonia e Albania. Secondo i dati della Banca centrale albanese, un operaio guadagna al mese dai 170 ai 425 euro, un ingegnere dai 253 ai 630 euro. Il governo di Tirana vuole confermare per altri dieci anni la flat-tax al 10%, stimolare le free zone e soprattutto rendere ancora più appetibile il costo del lavoro. Già il cuneo fiscale da quella parte dell'Adriatico non supera il 14%. L'obiettivo è scendere di un terzo e intercettare nuovi investimenti esteri diretti in modo da superare la crisi dei principali Paesi partner: Grecia e Italia. Insomma il motto delle due aquile è «Meno Stato, più privato e più efficienza». Che tradotto in numeri significa che i servizi e i costi dello Stato non devono pesare più del 28% del Pil. Su questo fronte anche la Macedonia non scherza. A Skopje vige il sistema "one-stop-shop" (Silenzio assenso sulle pratiche, ndr) che permette agli imprenditori di registrare le proprie attività in minimo 4 ore e massimo un giorno. Poi, zero imposte (anche sui redditi personali) per i primi dieci anni sulle società che aprono sedi nelle tre zone franche. Dove non c'è Iva, né ci sono dazi sulle esportazioni né sulle importazioni di macchinari. Connessione gratuita ai sistemi di erogazione di servizi, cuneo fiscale del 27% e costituzione e registrazione di nuove imprese, di qualunque forma giuridica, in solo quattro ore. Marocco - Vale la pena prendere in considerazione anche il Marocco. Con la premessa della dimensione. Le piccole aziende avranno difficoltà ad approcciare un Paese dove la forza lavoro è poco specializzata e impone un turn-over elevatissimo. Per le grandi, il regno offre un asso nella manica che si chiama infrastrutture. Nell'ultimo decennio ha speso 14 miliardi di euro per costruire autostrade e per le zone franche dove attirare le aziende europee tartassate in patria. Qui, esonero di imposte e tasse per 5 anni. Ovviamente niente Iva. Con una pressione fiscale mediamente superiore al 35% nel 1999 il deficit si attestava al 2,4%. Dopo la riforma fiscale che ha dimezzato la pressione, l'eccedenza è stata dello 0,7% nel 2007. Cosa che ha permesso poi di mollare i freni sul deficit (salito al 6%) in cambio di notevoli investimenti pubblici. Per imparare a far girare il Pil varrebbe la pena prendere una manciata di aerei e segnarsi sul taccuino qualche spunto. Claudio Antonelli

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