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La Ferrari lascia Renzi a piedi

Nicoletta Orlandi Posti
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La Ferrari no. Anche se quest'anno ha fatto soffrire i suoi tifosi non vogliamo che vada in esilio. Il Cavallino Rampante resta l'animale più amato da milioni di italiani. Invece pare che Sergio Marchionne voglia mettere le esclusive gran turismo di Maranello sulla stessa strada di Cnh (trattori) e Fca (Fiat-Chrysler). Vuol dire che la sede sociale della sarà ad Amsterdam, il fisco a Londra, i titoli azionari a Wall Street. Una diaspora. Conosciamo già la risposta del gran capo: la fabbrica resterà a Maranello dov'è nata settant'anni fa dall'ambizione di ferro del Drake. Chi mai comprerebbe una Ferrari se non costruita in quella fabbrica, da quella gente, con quella attenzione. Un valore aggiunto senza pari al mondo. Quanti sanno che le altre perle della “motor valley” bolognese in realtà sono tedesche? Ducati, “la rossa a due ruote” e Lamborghini appartengono alla Volkswagen. E la Mv Agusta di Varese ceduta alla Mercedes? Per tutti i clienti sono prodotti italiani e la proprietà tedesca da Stoccarda e da Stuttgart si sbraccia per alimentare il mito. Ma sulla identità aziendale questi colossi non transigono: sono tedeschi e basta. Nessuno si sognerebbe di prendere un passaporto inglese oppure olandese. Certo d'ora in poi per Matteo Renzi sarà molto più difficile andare a raccontare al capitale straniero che l'Italia è il Paese migliore per investire. Avrà un bel brigare con jobs act, italicum, abolizione del Senato e via discorrendo per cambiare la carta d'identità del Paese. Dopo tutto questo ramazzare in parlamento e ammesso che ce la faccia dovrà rispondere alla più semplice delle domande: perché uno straniero dovrebbe venire in Italia se la Ferrari, il simbolo stesso del “made in Italy”, il marchio più famoso del mondo, prende un passaporto estero? Insomma sarebbe come chiedere ad un fedele di venire in pellegrinaggio a Roma ma nel frattempo il Papa si è trasferito ad Avignone. A rendere ancora più bruciante la ferita è la mano che l'ha provocata. Quel Sergio Marchionne che ormai non perde occasione per incoraggiare il lavoro di Renzi. È diventato il principale sponsor del premier. La parole, però, non costano e, magari, non è escluso che, prima o poi, Renzi qualcuna delle cose che dice il super-manager riuscirà anche a combinarla (se non viene impallinato prima dal suo stesso partito). Nel frattempo la proprietà del gruppo Fiat e della Ferrari è stata collocata in Paesi dove davvero l'ambiente è amico dell'impresa: merno tasse, meno burocrazia, più visibilità per i titoli (da quando è a Wall Street Fca ha guadagnato il 40%). Che fosse questo il finale di partita l'aveva detto molto chiaramente Montezemolo al momento del licenziamento: la Ferrari non sarà più italiana. Proprio così. Non senza qualche rammarico visto che la famiglia Agnelli da questo Paese ha avuto molto e talvolta anche troppo. Come segno di riconoscenza ci lasci almeno il Cavallino Rampante. di Nino Sunseri

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