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Il governo studia un altro taglio delle pensioni

Matteo Legnani
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La partita sul lavoro sembra si voglia giocare a colpi di annunci. E di rettifiche, come quella di ieri del ministero del Lavoro che ha sbagliato a fare i calcoli di "soli" 327.000 contratti, ovviamente in più, in realtà mai firmati. Ogni mese si rilanciano i numeri sui contratti attivati, spesso nascondendo quelli cessati o la loro tipologia per migliorarne l' effetto. Al momento però le statistiche, purificate dal colore e dal clamore, suggerirebbero ai proclamatori professionisti estrema prudenza. Non solo perché quei 47 (quarantasette! ) contratti stabili creati a luglio in più di quelli chiusi sono davvero una miseria (le aziende che assumono lo fanno soprattutto con contratti a termine) ma soprattutto perché il polverone sollevato attorno a questi numeri rischia di nascondere manovre che mettono a rischio il futuro dei lavoratori. In particolare dei giovani. Ieri Il Foglio titolava così un articolo a pagina 4: «Quante trappole "anti giovani" nel piano di Renzi per rilanciare l' occupazione». L' autore, Emmanuele Massagli, presidente del centro studi Adapt, si riferiva «al tentativo dell' esecutivo di superare l' estemporaneità dell' esonero contributivo triennale previsto dall' ultima legge di Stabilità per i soli assunti nell' anno 2015». Il taglio dei contributi a favore delle aziende che assumono con contratti a tutele crescenti scadrà a fine 2015 e dunque c' è il rischio, concretissimo vista la debolezza della ripresa, che dal nuovo anno le aziende blocchino le assunzioni, almeno quelle stabili. Il folp del Jobs Act (slittano tra l' altro gli ultimi quattro decreti attuativi che non saranno più esaminati oggi dal consiglio dei ministri) è dunque dietro l' angolo. Il governo lo sa bene e sta cercando di correre ai ripari. Il problema, sostiene l' autore, è che la riduzione dei contributi ha un costo non indifferente, circa 15 miliardi, e se il ministro del Lavoro Poletti volesse riproporre tale e quale il provvedimento, l' esecutivo sarebbe costretto ad incrementare i tagli di spesa di pari importo. Così i consiglieri economici del premier sembra abbiano trovato la quadra: tagliare il cuneo contributivo invece di quello fiscale. La qual cosa ha una controindicazione di non poco conto: la riduzione della pensione. Il che ricadrebbe soprattutto sulle spalle dei giovanissimi, che già si dovranno accontantare di un vitalizio che peserà meno della metà di quello dei loro genitori. La soluzione trovata dai tecnici è quella di «un taglio strutturale e permanente di sei punti di contribuzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: tre punti a vantaggio del datore di lavoro e tre a vantaggio del dipendente, che potrebbe scegliere di averli (tassati) in busta paga o di destinarli (senza decurtazioni) alla previdenza complementare». Questo vuol dire semplicemente che il lavoratore nel corso degli anni verserà meno contributi ma otterrà una pensione più magra. Gli unici che ne otterrebbero un vantaggio sono il datore di lavoro, che risparmierebbe i tre punti di sua competenza, e lo Stato, che nel lungo periodo vedrebbe aumentare le entrate con il maggiore utilizzo di questa formula. Per l' Inps sarebbe invece un' operazione a costo zero. A restare con il cerino in mano sarà solo il lavoratore, dovesse decidere di approfittare dell' occasione e di incassare subito lo sconto. Ma anche nel caso in cui volesse girare il taglio a una forma pensionistica privata. È un po' la filosofia adottata per l' anticipo, supertassato, del Tfr. Va infatti ricordato, come fa il presidente di Adapt sul Foglio, che i rendimenti finanziari della previdenza complementare hanno subito un aumento della tassazione dall' 11 al 20%. Ovunque ci si giri, c' è odore di fregatura. Al posto del cuneo fiscale Il premier studia la decontribuzione previdenziale in busta paga: il vitalizio dei giovani sarà ancora più magro. Poletti ammette il bluff sul Jobs Act: «Solo 327mila assunzioni»Invece degli incentivi sul lavoro un nuovo taglio delle pensioni.. di Antonio Spampinato

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