Cerca
Logo
Cerca
+

Banche, lo sgambetto con cui l'Europa ha impedito ai nostri istituti di salvarsi

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

Incapacità di reagire con tempismo ai diktat dell'Europa e imperizia nel firmare contratti con le grandi banche d'affari. Il governo esce con le ossa rotta dalla nuova giornata di audizioni davanti alla commissione d'inchiesta sulle banche. L'uno due sferrato in rapida successione dal presidente del Fondo interbancario, Salvatore Maccarone, e dal sostituto procuratore presso la procura regionale del Lazio della Corte dei Conti, Massimiliano Minerva, ha sostanzialmente svelato che scelte differenti nella gestione del debito e della crisi del credito avrebbero consentito di risparmiare diversi miliardi di euro dei contribuenti. Sul fronte bancario la cronologia riportata da Maccarone alimenta più di un dubbio. Siamo nel 2015, quando il sistema del credito inizia a mostrare le prime crepe. A vacillare sono in particolare Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife, le prime quattro banche fallite con il bail in che hanno aperto la strada ai successivi salvataggi pubblici delle venete e di Mps. Ebbene, ecco la versione di Maccarone: a novembre si capisce che l'orientamento di Bruxelles, in particolare della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, sulla possibilità di ricapitalizzare le banche con un intervento del Fondo interbancario di garanzia (finanziato dagli stessi istituti) è negativo. A quel punto si tenta di aggirare la normativa sugli aiuti di Stato, proponendo uno schema volontario di finanziamento del fondo. Soldi privati che volontariamente, e non con un meccanismo automatico supervisionato dalla Banca d'Italia, vengono usati per aiutare altre aziende. La delibera sullo schema volontario arriva l'11 novembre. Il 19 la commissione Ue manda una lettera al ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, dicendo che in questo modo si può fare. Il 21, però, arriva la risoluzione, che chiude di fatto i giochi. Europa troppo severa o governo incapace di sbattere i pugni sul tavolo? Maccarone si è limitato a ricordare che «per una banca i giorni non sono una cosa da poco» perché «la Bce se un istituto non può fare fronte ai pagamenti la mette in liquidazione immediatamente». Resta il fatto che se le banche fossero state ricapitalizzate dal Fondo si sarebbero da subito, ha spiegato Maccarone, risparmiati 1,7 miliardi. E non è detto che il salvataggio «incruento» delle prime quattro banche andate a gambe all'aria non avrebbe cambiato il corso dei successivi crac bancari, consentendo al sistema creditizio di puntellare gli istituti con le proprie risorse. «Il governo ha passato un anno e mezzo a farsi prendere in giro dalla Commissione Europea, arrivando solo nel novembre 2015 a prevedere il passaggio del fondo da obbligatorio a volontario, a quattro giorni dalla risoluzione delle quattro banche. Se lo avesse fatto prima, nessuno avrebbe perso un euro e ci saremmo risparmiati miliardi di denaro pubblico», ha commentato Giovanni Paglia, deputato di Sinistra Italiana. Altri miliardi, 4 per la precisione, sono andati persi grazie ad una clausola di estinzione anticipata (early termination) contenuta nel contratto sui derivati a protezione del debito siglato dal Tesoro nel 1994 con Morgan Stanley. Incalzato dalla Corte dei Conti il governo si è qualche mese fa difeso dicendo che l'attuale responsabile del debito Maria Cannata non ha firmato quel contratto e che della clausola il ministero non sapeva nulla. Comportamento «omissivo», secondo la magistratura contabile, visto che la clausola era sempre presente anche nelle conferme del contratto che sono state fatte negli anni. Quanto all'attivazione della clausola, avvenuta nel 2011, c'erano, secondo la Corte dei Conti numerosi elementi che avrebbero potuto «supportare valutazioni negoziali o strategie di tipo oppositivo». Insomma, si poteva evitare di sborsare quei 4 miliardi. di Sandro Iacometti

Dai blog