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Banche, più trasparenza sui titoli tossici? La Germania rinvia tutto al 2020

Andrea Tempestini
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Doveva essere, nelle intenzioni degli euro burocrati, il motore della rivoluzione finanziaria europea, in grado di proteggere il risparmio grazie ad un'iniezione di trasparenza e di concorrenza. Purtroppo, la macchina messa a punto in sette anni di studi e ricerche con un costo d'avvio di due miliardi e mezzo di euro circa, la direttiva Mifid 2, è scoppiata come una vecchia Balilla al momento della mossa in moto: due grandi protagonisti hanno chiesto ed ottenuto una proroga di 30 mesi, quel che ci vuole per adeguarsi alla montagna di nuove regole. No, non fatevi idee sbagliate. A chiedere il rinvio non sono stati i banchieri italiani, i soliti incalliti ripetenti duri d'orecchio. No, la richiesta è arrivata in contemporanea dai regolatori dei due più importanti mercati europei dei derivati, cioè i prodotti più sofisticati e, perciò, bisognosi di trasparenza: la Financial Conduct Authority (Fca), che ha chiesto ed ottenuto una deroga per il Liffe, la Borsa dei derivati della City, e il regolatore tedesco BaFin, che ha concesso una proroga simile, fino a luglio 2020, per i derivati scambiati su Eurex, il mercato di Francoforte. Insomma,se ne riparlerà solo nel luglio 2020 quando, si spera, anche i derivati dovranno rispondere a tutti i requisiti di trasparenza richiesti dalle autorità europee. Una sorta di certificato doc così impegnativo che un derivato comprato a Francoforte potrebbe essere venduto in qualsiasi altra piazza, Parigi, Londra o Milano, con un solo click del pc. Peccato che non sia così. A Francoforte e Londra i banchieri hanno alzato bandiera bianca di fronte ai 400 e più documenti necessari per are il via ad una singola operazione. Oltre ai problemi sollevati da regole tardive, comunicate alle banche solo a metà dicembre, ovvero troppo tardi per adattare il software necessario per operazioni estremamente complesse, in buona parte inedite. Il rinvio, insomma, ha buone giustificazioni. Almeno in parte. Perché, c'è da chiedersi, l'Unione Europa ha insistito perché la Mifid2 prendesse il via all'inizio del 2018 anche se era ormai ben chiaro che un rinvio sarebbe stato necessario? Più di una ricerca presso i grandi operatori, infatti, hanno confermato in questi mesi che 9 operatori su dieci sarebbero stati in grave imbarazzo di fronte alle richieste della Direttiva. Ma Bruxelles, che già aveva rinviato di un anno il decollo della Mifid 2, è stata inflessibile. Perché? Il motivo è semplice. Quel che rimane della Direttiva, in vigore fin da subito, riguarda i rapporti tra chi raccoglie ed amministra il denaro e la clientela. In un certo senso il cuore del sistema ovvero quel che emerge agli occhi del grande pubblico. In sostanza la chiarezza sui costi e la trasparenza nei rapporti con chi colloca quote di fondi, certificati di deposito, polizze e bond. Peccato che, grazie al rinvio, restino fuori i prodotti più complicati, talvolta tossici. Per capire la consistenza del problema per le grandi banche tedesche (e francesi), è utile rifarsi ad un recente studio della Banca d'Italia da cui emerge che i due terzi dei titoli in circolazione spesso «complessi, opachi e altamente illiquidi» si trovano nelle banche francesi e tedesche (per un terzo nel resto dell'unione monetaria, di cui il 5% in Italia). Sono questi gli asset, spesso qualificati nei bilanci come «liquidi» in assenza di un riscontro di mercato, che garantiscono profitti elevati (sulla carta) e rischi "bassi" (sempre sulla carta), senza esser però spostati dal magazzino. Mifid 2 era l'occasione per metter un po' d'ordine. Purtroppo, sarà necessario attendere il luglio 2020. di Ugo Bertone

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