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Guerra delle monete, euro contro dollaro. Draghi e gli inquietanti "segnali" dagli Usa: perché l'Europa rischia grosso

Giulio Bucchi
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È già stata definita "la guerra delle monete" e non promette nulla di buono. Per l'Unione europea, ovviamente. A lanciare l'allarme è stato il presidente della Bce Mario Draghi, che ha reagito a muso duro all'euforia del segretario del Tesoro americano Steven Mnuchin. Il braccio destro economico del presidente Donald Trump gongolava per la debolezza del dollaro, con l'euro sempre più forte e ora oltre quota 1,25. Cambio estremamente favorevole alla bilancia commerciale Usa, agevolata nelle esportazioni verso l'Europa. Al contrario l'Ue, che vive di esportazione anche oltre l'Atlantico, ne risente sensibilmente. Trump qualche ora dopo ha parzialmente rettificato Mnuchin ("Il livello del dollaro dovrebbe essere basato sulla forza dell'economia americana. Il dollaro si rafforzerà e io voglio vedere un dollaro forte", ha spiegato) ma non basta. Per approfondire leggi anche: Così ammazzeranno l'Italia in nome dell'euro L'allarme, come sottolinea anche Repubblica, c'è ed è pericolosamente vicino al livello rosso. A Draghi non sono andate giù le frasi di Mnuchin, perché ogni commento sul cambio ha a suo dire un effetto negativo sullo stesso. Ma soprattutto perché, questo è il sospetto drammatico di Francoforte, rifletterebbe una politica precisa e pericolosa. Quella di favorire svalutazioni competitive. Il cambio euro/dollaro, ha sottolineato Draghi, si unisce alla crescita dei prezzi del petrolio: il futuro dell'Eurozona dipenderà molto da quanto i due fenomeni si compenseranno. Ma il nostro destino economico è appeso anche a quello che si deciderà nei prossimi mesi tra Washington e Wall Street. Secondo il presidente della Bce "diversi membri" del Consiglio direttivo della Bance centrale europea sono preoccupati per i recenti segnali partiti dagli Stati Uniti. "Questa preoccupazione - ha ammesso Draghi - andava oltre il semplice tasso di cambio e riguardava lo stato generale delle relazioni internazionali in questo momento". "Se ciò dovesse portare a una stretta di politica monetaria indesiderata e che non è giustificata, allora dovremmo ripensare alla nostra strategia".

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