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Dazi, nautica in allarme

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Roma, 16 mar. - (AdnKronos) - Le associazioni riunite nella European Boating Industry, nella National Marine Manufacturers Association e nell'ICOMIA (International Council of Marine Industry Associations) esprimono la propria preoccupazione "per il peggioramento della situazione commerciale tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea e chiedono, ad entrambe le parti, una soluzione costruttiva" ricordando che "non c'è vincitore in una guerra commerciale". Lo si legge in una nota delle associazioni, di cui fa parte anche l'italiana Ucina, che temono che "l'industria della nautica da diporto si sia trovata nel mezzo di una guerra politica, con conseguenze estremamente serie per il settore su entrambi i lati dell'Atlantico". Infatti, si ricorda, ai dazi annunciati da Trump sul'import di alluminio e acciaio l'Unione Europea ha proposti misure 'ritorsive' su una serie di beni prodotti negli Stati Uniti, fra cui le unità da diporto. Una industria che negli Stati Uniti contribuisce per 38,2 miliardi di dollari al PIL americano, supportando 35.000 aziende e 650.000 posti di lavoro diretti e indiretti. Nell'Unione Europea, peraltro, l'industria della nautica da diporto include oltre 32.000 attività commerciali, che danno lavoro direttamente a più di 280.000 persone, generando un giro d'affari annuo di circa 20 miliardi di euro e producendo benefici per tutta l'economia; in Italia, ad esempio, rappresenta l'1,46 ‰ del PIL. Le associazioni sottolineano come i dazi Usa "avranno conseguenze dirette sull'industria nautica globale" visto che l'alluminio è una materia prima fondamentale per la produzione di imbarcazioni e componenti nautiche. Di qui la stima che l'aumento dei costi per i produttori americani provocherà un'interruzione delle vendite per i pontoon boats e per le unità da pesca in alluminio, segmenti che valevano circa 3 miliardi di dollari di vendite negli Stati Uniti, per un totale di 110.000 imbarcazioni. Ricordando come il settore fosse già finito in mezzo a una simile controversia sull'acciaio del 2002, quando l'amministrazione Bush impose dazi che andavano dall'8% al 30% su un'ampia gamma di prodotti, le associazioni sottolineano come all'epoca "il risultato fu una perdita di 200.000 impieghi negli Stati Uniti nell'industria dell'acciaio e nelle filiere connesse". Peraltro - si aggiunge - "aver incluso la nautica da diporto fra i prodotti a rischio dazio in UE non tutelerà comunque l'industria europea e colpirà ulteriormente i produttori statunitensi di imbarcazioni". Nella nota si ricorda come l'Ue sia il secondo partner commerciale per i produttori di imbarcazioni statunitensi, per un valore nel 2016 di 217,4 milioni di dollari, mentre l'export di motori valeva 148,3 milioni di dollari, pari al 18,4% delle esportazioni totali di settore degli Stati Uniti. Considerata la segmentazione del mercato, continuano le associazioni, "non tutte le imbarcazioni statunitensi vendute in Europa potrebbero essere facilmente sostituite da unità prodotte nell'Unione Europea, o recuperabili all'interno dell'attuale capacità produttiva dei cantieri europei" visto che lo sviluppo, la lavorazione e la creazione di stampi per nuovi modelli di imbarcazioni necessita di almeno un anno. Le associazioni temono quindi che la querelle possa compremettere "la recente ripresa di un settore industriale che è stato gravemente danneggiato dalla crisi economica del 2008/2009, ma che ancora contribuisce in maniera significativa all'economia europea, impiegando più di 280.000 persone". Le associazioni stimano infine "un impatto severo anche sull'economia statunitense, che determinerà costi più alti per l'alluminio - quale materia prima strategica per la costruzione di imbarcazioni - e ridurrà la competitività globale degli Stati Uniti, qualora le unità da diporto dovessero essere inserite nella lista dei dazi di ritorsione". Al contrario una "crescita economica vantaggiosa per entrambe le parti" sottolineano i firmatari del documento - si può ottenere "attraverso l'eliminazione dei dazi, procedure di certificazione semplificate e standard armonizzati a livello internazionale". Di qui l'invito a una "collaborazione ragionevole e bilanciata tra gli USA e l'Unione Europea, che non minacci la crescita, il lavoro e l'innovazione" e che rappresenta "l'unica soluzione sostenibile per il futuro".

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