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Finale Coppa Italia, comandano gli ultrà: chi sono Genny e Gastone

Giulio Bucchi
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La trattativa Stato-ultrà è la nuova macchia sul calcio italiano. Quello che è successo all'Olimpico di Roma fuori e dentro lo stadio prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina potrebbe essere il momento di svolta, non necessariamente positiva, del pallone nostrano: il capo dei tifosi napoletani, Genny 'a Carogna, che dagli spalti parla con il capitano della sua squadra Hamsik e le autorità e dice che sì, si può giocare, e che lui garantirà la regolarità della partita. Cose assurde, ma non straordinarie in Italia. La risposta del Viminale - Ma dal Viminale e dalla Questura di Roma respingono le accuse: "Non c'è stata alcuna trattativa con gli ultras del Napoli. Mai pensato di non far giocare la partita", ha detto il questore di Roma Massimo Mazza, spiegando che è stato solo accordato al capitano del Napoli di informare i tifosi, su richiesta di questi, sulle condizioni di salute del ferito. "Mai nessuno - ha aggiunto il questore - ha pensato di non far giocare la partita, né la federazione, né le forze dell'ordine, né le società. La società Napoli ci ha solo chiesto se avessimo nulla in contrario se il capitano spiegasse ai tifosi come era la situazione, anche perché si erano diffuse notizie che davano per morto il tifoso. Non c'erano controindicazioni e così il capitano ha potuto spiegare che i tifosi della Fiorentina non c'entravano con quello che era accaduto e che il tifoso non era morto. Non riesco a capire di quale trattativa si parli: non c'è stata alcuna trattativa: società federazione e forze dell'ordine sono state tutte concordi nel ritenere che la partita si poteva e si doveva regolarmente giocare e così è stato". Anche Angelino Alfano non ci sta e, nonostante lo spettacolo sia stato visto da milioni di persone, nega l'evidenza: "Non c'è stata nessuna trattativa tra Stato e ultrà. Non sta nè in cielo nè in terra". La follia di Gastone - Era già successa la stessa cosa nel 2004, quando il derby Roma-Lazio venne fatto rinviare perché i tifosi delle due squadre, per una volta gemellati, minacciarono la guerriglia a causa della presunta morte (poi smentita) di un bambino travolto da una camionetta della polizia fuori dallo stadio. Caso vuole che il protagonista di allora, il capoultrà romanista Daniele De Santis detto Gastone (parlò direttamente con Francesco Totti) sia al centro del caos di ieri: sarebbe stato lui, quasi in un raptus di follia, a sparare ai tifosi napoletani a Tor di Quinto, dove gestisce un chiosco di bibite. "Vi ammazzo tutti!" e via, a colpi di pistola contro i sostenitori azzurri. Uno di loro, il 28enne Ciro Esposito, colpito al petto, è ora stato trasportato al Gemelli ed è ancora in condizioni gravissime: rischia la vita. Gastone invece è piantonato al Gemelli, dove anche lui è stato ricoverato. Comanda Genny - Regolamento di conti tra tifosi? Lite per futili motivi? Semplice follia di una "testa calda" già nota alla polizia da anni, proprio come il figlio di camorrista 'o Carogna, al secolo Gennaro De Tommaso? In ogni caso, da lì in poi, è stato un sabato delirante per tutti, forze dell'ordine, autorità, vertici Figc, giocatori. All'Olimpico la partita è iniziata con 40 minuti di ritardo, Genny e i suoi hanno atteso il fischio d'inizio con lancio di fumogeni, hanno fischiato l'inno di Mameli e, alla fine, hanno invaso il campo per festeggiare la vittoria della loro squadra. Addirittura, si sono fatti fotografare con la Coppa Italia in mano. Quei tifosi che "hanno dimostrato grande civilità", come sottolineato in una conferenza stampa surreale dal presidente napoletano Aurelio De Laurentiis, una volta erano il dodicesimo uomo. Adesso no: sono ufficialmente i padroni del pallone, in grado di bucarlo se non gli va che si giochi. Il vero problema - I sindacati di polizia hanno tuonato: "Non si può trattare con un camorrista". Giustissimo. Una parola sarebbe potuta partire anche dalle innumerevoli autorità politiche sedute all'Olimpico mentre lo stadio stava esplodendo, dal premier Matteo Renzi al presidente del Senato Pietro Grasso. Invece nulla. A decidere il futuro del calcio italiano può essere un capoultrà che si presenta allo stadio con una maglietta a difesa del tifoso che nel 2007 uccise, prima di un derby Catania-Palermo, l'ispettore di polizia Filippo Raciti. Tutti ora invocheranno misure più severe per i tifosi, stadi chiusi, sospensione dei campionati. Il problema vero, però, è un altro: questa non è solo questione di tifo violento, ma di un rapporto malato, incancrenito, tra tifo organizzato, club e istituzioni sportive. Non serve l'esercito negli stadi, o meglio non basta. Servono leggi ad hoc, perché nei casi-limite alcuni gruppi di tifo organizzato usano gli stessi strumenti e le stesse logiche delle organizzazioni criminali. Finché non si scioglierà questo nodo, non ci saranno svolte possibili ma solo soluzioni una tantum e temporanee. E finito l'effetto choc degli scioperi e dei minuti di silenzio, si tornerà a guardare le partite. Sempre che Genny 'a Carogna, Gastone o chi per loro ne avranno voglia.

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