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Pansa: vi racconto chi è Vendola, lupo mannaro travestito da pecorella frignante

Matteo Legnani
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Adesso l'onorevole Nichi Vendola fa il paparino angosciato perché i suoi figli scappano di casa. Piange, il leader di Sinistra ecologia libertà. Gennaro Migliore per me era come un figlio e mi tradisce! Claudio Fava era un figlio ancora più caro e anche lui spera di farsi adottare da Renzi! È commovente vedere in lacrime il governatore della Puglia. Ma è un'immagine ingannevole. Dal momento che il capo di Sel è un signore doppio, forse triplo. Ha sempre avuto più di una faccia. E adesso il Bestiario ne descriverà un paio. La prima è quella del politico maligno, gonfio di cattiveria. Pronto a disprezzare chi non obbedisce. Sotto l'aspetto del piacione al cubo, un mago dell'armonia capace di suscitare consensi inaspettati, sta sempre in agguato un tipo umano del tutto diverso. L'orecchino, gli abiti casual e i modi del libertario cortese, nascondono un perfetto staliniano. Mi rammenta certi vecchi ras delle Botteghe oscure, fanatici che sparavano parole micidiali come pallottole. Esagero? Penso di no. Nella seconda metà degli anni Novanta ho scoperto il vero carattere di Nichi leggendo la rubrica scritta da lui su Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista, il partito-padre di Vendola. Aveva un titolo minaccioso: «Il dito nell'occhio». E prendeva di mira gli avversari con un sarcasmo senza pietà. Massimo D'Alema era «grevemente atlantico, cinico, con una spocchia da statista neofita». Piero Fassino «blaterava scempiaggini cingolate e mortali». Umberto Ranieri, deputato di Napoli, gli ricordava «un caporalmaggiore della Nato». Antonio Di Pietro aveva «una caratura mussoliniana». Ma il pensiero violento e il linguaggio stridulo di Vendola prendeva di mira soprattutto Emma Bonino. Una tempesta di volgarità per «questa vipera con la faccia di colombella, amante delle carneficine umanitarie». Con una singolare inversione di genere, che solo uno psicanalista potrebbe spiegare, Nichi l'aveva trasformata in un maschio: «Un uomo chiamato Emma». E la dipingeva così: «Ragiona come un funzionario modello della Cia americana. Predica la non violenza degli aerei Mirage e B-52. Gli piacciono le carneficine umanitarie. È un sacerdote dell'idillio atomico». Vendola spacciava questa robaccia alla fine degli anni Novanta. Quando il governo di centrosinistra, guidato da D'Alema, aveva deciso di partecipare alla guerra della Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic. Può essere un'attenuante? Credo proprio di no. In quell'epoca Nichi non era un polemista alle prime armi, in orgasmo per la possibilità di scrivere su Liberazione. Era un signore di 41 anni, deputato per la terza volta, che ambiva a diventare un leader egemone della sinistra italica. Una delle facce -  Questa era una delle facce di Vendola. L'altra era quella del politico ambizioso, che non accettava di essere sconfitto, soprattutto da qualcuno che dichiarava di essere più comunista di lui. Fu quanto accadde nel luglio 2008, in un momento critico per Rifondazione. Il risultato delle elezioni politiche dopo la caduta del secondo governo di Romano Prodi, aveva rivelato una tragica realtà. Silvio Berlusconi era ritornato al potere in modo trionfale. E Rifondazione era stata sradicata dal Parlamento, senza più nessun deputato e nessun senatore. Fu in quello scenario di rovine che a Chianciano si tenne il congresso nazionale del partito. A contendersi il possesso della parrocchia erano in due: Vendola, affiancato da Fausto Bertinotti, e Paolo Ferrero che nel secondo governo Prodi aveva recitato controvoglia la parte dell'unico ministro rifondarolo, con l'incarico alla Solidarietà sociale. Due personaggi che più diversi non potevano essere. Nichi era il solito parolaio pieno di fervore. Con un linguaggio letterario capace di affascinare chiunque. A cominciare dai conduttori dei talk show televisivi. Per citarne uno, Lilli Gruber che in «Otto e mezzo» sulla 7 andava in estasi nell'ascoltare le narrazioni di Nichi. Ferrero, invece, era un valdese della val Germanasca, una delle aree montane della provincia di Torino. Un pauperista nemico del lusso. Abituato a guidare una Mercedes di terza mano, così scassata che, quando correva a trovare i rom, gli zingari lo scambiavano per uno di loro. Il giorno che Prodi lo scelse come ministro, andò a passeggiare a Torre Pellice con i sandali senza calze, una vecchia camicia e la tracolla di cuoio comprata dieci anni prima. Per di più Ferrero mostrava sempre la mutria del montanaro in crisi, che non ha voglia di parlare e non sa farlo. Convinzioni sbagliate - Vendola e Bertinotti erano convinti di stravincere il congresso. Nichi si vedeva già segretario di Rifondazione e Fausto il Parolaio rosso immaginava per se stesso un futuro da consigliere del principe. Invece persero. Ferrero diventò il leader del partito, sia pure per una manciata di voti. Agitando uno slogan micidiale: meno comparsate in tivù e più presenza nelle piazze. Gli inviati dei giornali spediti a Chianciano ebbero di fronte lo sbalordimento di Vendola. Lui aveva annusato la disfatta sin dalla sera precedente, poiché Ferrero era riuscito a mettere insieme quattro mozioni diverse. Verso la mezzanotte, Nichi mostrò ai cronisti una faccia stravolta: «Roba da chiamare il 118 per come si comportano quelli di Ferrero. Una cosa raccapricciante. Sono peggio della destra!». E ancora: «Hanno vinto cantando “Bandiera rossa”. Rifondazione è diventata una comunità terapeutica. Dovrei decidere la secessione della Puglia… Hanno preparato un documento delirante. Io mi ritiro». Parlò anche Bertinotti: «Non avevamo immaginato di perdere in questo modo. Dobbiamo fare un'autocritica profonda per non aver intuito che cosa stava per accadere». E offrì alla truppa dei media una smorfia di disgusto profondo. A mandare ko il Parolaio e il suo allievo Nichi era stata una scena da infarto. Tutti i delegati anti Vendola si erano alzati in piedi e avevano iniziato a scandire: «Comunismo, comunismo, comunismo!». L'urlo era diretto contro Nichi e i suoi, come se fossero dei pallidi riformisti. O peggio ancora reazionari malamente tinteggiati di rosso. Lo sgomento si era impadronito di Fausto. Non credeva alle proprie orecchie. Quella parola sacra, «Comunismo!», quella bandiera, quel mito usati per dileggiarlo. Gli appariva il modo più osceno per festeggiare una vittoria. Bertinotti balbettò agli inviati speciali: «Qui bisogna cominciare a temere per la nostra incolumità fisica. Questi sono davvero peggio di Di Pietro: riapriranno le galere!».  Adesso, dopo anni di trionfo, Nichi Vendola, un signorino rosso e spavaldo, ha ripreso a perdere. Non lo salveranno neppure i sindaci che ha messo in sella, a cominciare da quello di Milano, Giuliano Pisapia. E tanto meno Laura Boldrini, che dopo le elezioni del 2013 Nichi ha voluto a tutti i costi presidente della Camera. Pare che le abbia persino scritto il discorso d'insediamento. Ma per franchezza debbo ammettere che non ricordo che cosa la signora abbia detto. Perché tanti figlioli abbandonano il povero paparino Nichi? Esiste una sola certezza. Il 40,8 per cento raccolto da Matteo Renzi alle europee è un calamita ultra potente che attira consensi a spiovere. L'aspetto negativo di questa corsa per salire sul carro del vincitore è che, alla fine, il renzismo non avrà oppositori. Un fatto molto negativo che deve allarmare anche il centrodestra. Berlusconi & C hanno l'obbligo di stare molto attenti a non offrire la testa al boia. Occhio, signori di Forza Italia, occhio! di Giampaolo Pansa

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