Cerca
Logo
Cerca
+

Luigi Preiti: "Volevo colpire Berlusconi, Monti, Bersani. Chiedo perdono, ero drogato e depresso"

Nicoletta Orlandi Posti
  • a
  • a
  • a

"Se potessi mi sostituirei a lui, mi farei carico della sua sofferenza. Prego ogni giorno che possa guarire presto. Ho scritto a sua figlia. Quello che ho fatto è assurdo, la disperazione ti porta a fare cose pazzesche". Da dietro le sbarre del carcere di Rebibbia dove sta scontando 16 anni la condanna per tentato omicidio plurimo, porto abusivo di arma clandestina e ricettazione, Luigi Preiti, il pistolero di Palazzo Chigi, per la prima volta parla di quello che successe il 28 aprile 2013. Era il giorno dell'insediamento del governo di Enrico Letta e lui in piazza Colonna sparò ad altezza d'uomo riducendo in fin di vita il brigadiere Giuseppe Giangrande. Poi voleva suicidarsi, ma nel caricatore della Beretta 7.65 con matricola abrasa non c'erano più colpi. I veri obiettivi - "Non ce l'avevo con i carabinieri. Mi sono fatto prendere dal panico", racconta a Paolo Berizzi che ha firmato l'intervista esclusiva su Repubblica. L'obiettivo, spiega, erano i politici. "Li volevo colpire anche se non sapevo bene in che modo. Non avevo un piano. I nomi? Berlusconi, Bersani e Monti. Ognuno aveva delle colpe". Poi spiega: "La destra poteva cambiare le cose e non l'ha fatto. La sinistra non faceva altro che litigare: e anche quando ha vinto, ha perso. Ricordo il governo Prodi. Quattro governi in una legislatura. Più o meno quello che sta succedendo adesso". E ancora: "Ancora una volta abbiamo un governo non legittimato dal popolo, come invece prevede la Costituzione. E non ricordiamo Monti: ha fatto più danni lui delle dieci piaghe d'Egitto". "Senza l'appoggio dei politici", puntualizza Preiti, "non esisterebbe nessuna lobby di potere. Le banche, la grande industria, le speculazioni finanziarie, la mafia moderna. Galan e Scajola insegnano, solo per citare i casi più recenti". La solidarietà - Preiti è pentito per quello che ha fatto, "ma non si può tornare indietro". Dice che "oggi la gente è più disperata di quando ho sparato. Se finisci sul lastrico, e perdi anche gli affetti, puoi arrivare a compiere gesti estremi". Come quello che ha rovinato la vita al brigadiere Giangrande per il quale Libero ha fatto una grande e partecipata campagna per contribuire alle spese mediche necessarie alla sua riabilitazione. In realtà anche Preiti ha ricevuto molti attestati di solidarietà. "I primi 100 giorni sono stato in isolamento. Poi i detenuti comuni mi hanno accolto con calore", ha raccontato a Berizzi. "Hanno capito che dietro il mio gesto c'era solo tanta disperazione. Ho ricevuto lettere di solidarietà da ogni parte d'Italia: anche da liberi professionisti, medici, avvocati, imprenditori strozzati dalla crisi". La disperazione - Quando ha sparato Preiti dice di essere stato "depresso, disperato e drogato". "Un uomo senza lavoro perde la dignità", dice il cinquantenne spiegando che l'idea di andare a Roma a sparare nacque "dalla disperazione e dalla consapevolezza che sarei diventato, anzi, lo ero già, un'altra vittima della crisi. Un altro numero. Cresce il numero dei disoccupati, ripetevano i media. Ma tutto è rimasto uguale, forse sono pure peggiorato". E il pensiero va alla famiglia, al figlio di 10 anni che vive ad Alessandria con la ex moglie. La situazione della sua famiglia, puntualizza "è peggiorata. Con me in carcere per loro è ancora più difficile. Dopo la separazione ero tornato a Rosarno a vivere a casa dei miei genitori. Lì le cose sono precipitate". Infine Preiti ci tiene a chiarire:"Ho agito da solo, senza indicazioni di nessuno. I motivi li ho spiegati. Ma magari mi accuseranno anche della strage di Ustica e di quella della stazione di Bologna".

Dai blog