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Immigrazione, arrestati i tassisti italiani che portavano i clandestini in Germania

Francesco Rigoni
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Decine d'arresti e fermi. Nel mirino, i tassisti, che utilizzano le loro auto per accompagnare "oltre confine" centinaia di clandestini orientali. L'accusa è quella di favoreggiamento d'immigrazione clandestina. In manette anche diversi conducenti d'auto italiani, che noleggiavano le vetture proprio per "accompagnare" i migranti. Gli arresti sono stati effettuati principalmente al Nord, ma in un caso anche a Roma. RadioTaxi Venezia sottolinea come i fermati non fossero ufficialmente "tassisti" ma semplicemente privati che utilizzavano la propria auto per trasportare i clandestini. Il caso - Le prime manette sono scattate lo scorso anno, ma il caso è emerso in queste settimane con il fermo del noleggiatore Alessio Tavecchio, 45 anni, di Pianezze (Vicenza) fermato dalla polizia tedesca mentre trasportava 10 profughi siriani. Manette anche per un altro vicentino, Giancarlo Flaminio di 72 anni di Grisignano di Zocco (Vicenza), e per i due padovani Marco Santi (51) e Fabio Forin (30) bloccati a Rosenheim mentre stavano viaggiando con 25 siriani. La difesa - Ad abbozzare una difesa della categoria è Pierpaolo Campagnolo, presidente dalla Cooperativa Tassisti Vicentini, che spiega: "Non è obbligatorio sapere chi portiamo. Molti dei profughi che si sono allontanati dalla città li abbiamo portati noi. Quando il cliente è presentabile e paga, nessuna legge ci impone di chiedergli l'identità. Lo stesso vale per il noleggio con conducente". La notizia è stata confermata dal consolato italiano di Monaco di Baviera. L'accusa - Secondo quanto riportato da Il Gazzettino, questi arresti sarebbero soltanto una piccola parte del problema, poiché molteplici casi analoghi sono stati segnalati nelle ultime settimane lungo il confine meridionale della Germania (anche il consolato italiano conferma l'entità del fenomeno). La vicenda, inoltre, attualizza le accuse piovute a fine agosto dal ministro degli Interni bavarese contro l'Italia, mister Joachim Hermann, che accusava il Belpaese di "non rispettare le regole sui rifugiati". Secondo Hermann, "l'Italia in molti casi intenzionalmente non prende i dati personali o le impronte digitali, il che significa che i rifugiati possono chiedere asilo in un altro Paese, senza tornare in Italia".

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