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Omicidio di Garlasco, la sentenza dell'Appello bis: Alberto Stasi condannato a 16 anni

Giulio Bucchi
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Alberto Stasi è colpevole. La Corte d'Appello di Milano dopo oltre sette ore di camera di consiglio ha condannato a 16 anni di carcere il 31enne per aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi, 26 anni, trovata senza vita in un lago di sangue il 13 agosto 2007 nella sua casa di Garlasco (Pavia). La ragazza venne aggredita vicino alla porta di ingresso, poi trascinata e gettata lungo le scale che portano al seminterrato. Da sempre l'allora fidanzato è il sospettato numero uno e unico indagato di questo delitto, tra perizie, ricostruzioni e polemiche. Si conclude così un processo lungo 7 anni, che ha visto Stasi assolto in primo e secondo grado e rinviato all'Appello bis dalla Cassazione nell'aprile del 2013.  "Niente crudeltà" - "Non cercate a tutti i costi un colpevole condannando un innocente", aveva chiesto il giovane rivolgendosi alla Corte, in mattinata. E invece, i giudici il colpevole sono convinti di averlo trovato: a Stasi non è stata riconosciuta l'aggravante della crudeltà che era stata contestata dal sostituto procuratore che aveva chiesto una pena di 30 anni. Da qui, considerate le aggravanti equivalenti alle attenuanti, la pena inferiore alla richiesta dell'accusa. Inoltre, dovrà risarcire i parenti di Chiara Poggi per un milione di euro complessivi. La sentenza ha infatti stabilito che dovrà versare 350mila euro ciascuno al padre e alla madre della vittima e 300mila al fratello. Votate il sondaggio sulla sentenza choc La storia del processo - L'unico imputato, come detto, è sempre stato Stasi, l'allora 24enne studente bocconiano (si è laureato nel 2008) dalla faccia pulita. Il 13 agosto 2007 trova il corpo di Chiara in una pozza di sangue. Il 20 agosto la Procura di Vigevano lo indaga per omicidio volontario e i carabinieri sequestrano la sua bici e il suo computer. Quattro giorni dopo il pm Rosa Muscio ordina il fermo: la prova che lo inchioderebbe, secondo gli investigatori, sarebbe il dna della vittima sui pedali della bicicletta in sella alla quale Alberto sarebbe fuggito. Ma il 28 settembre il gip Giulia Pravon dispone la scarcerazione. Sembra la fine di un incubo ma ad aprile 2013 la Cassazione annulla tutto e ordina l'appello bis perché i processi precedenti sarebbero pieni di errori. Il più clamoroso riguarda quattro ditate intrise di sangue impresse sul pigiama rosa della vittima all'altezza della spalla sinistra. Esiste una foto ma non la prova: dopo lo scatto, infatti, chi ha svestito e rimosso il cadavere ha completamente sporcato di sangue il pigiama, cancellando le impronte. Non la soluzione del caso.

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