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Marco Minniti, nuove regole per le moschee in Italia: gli imam devono parlare in italiano

Benedetta Vitetta
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Nelle mosche, d'ora in poi, le prediche saranno in italiano. Il risultato, che a detta del ministro dell'Interno, Marco Minniti, "non ha precedenti in Europa" è stato raggiunto grazie a un patto tra Viminale e giovani della Comunità islamica. Il patto, spiega Minniti, afferma due grandi questioni: "la prima si affermano e sottoscrivono i principi sanciti nella prima parte della Costituzione italiana" precisa il ministro intervistato da Il Mattino, "in questo modo i sottoscrittori (che rappresentano la maggior parte delle sigle che rappresentano l'Islam nel nostro Paese, ndr) affermano di voler essere musulmani e italiani. E questa è la chiave per una corretta politica di integrazione. Ma chi ha aderito ha accettato anche il secondo punto, che prevede quattro concetti importantissimi". Innanzitutto che le moschee sono luoghi pubblici e aperti al pubblico; per ogni moschea viene reso noto il nome dell'imam che vi esercita il culto; le prediche devono essere fatte in lingua italiana, e si prevede per gli stessi imam un percorso di formazione con l'Università; infine, per ogni moschea nuova che viene costruita vanno resi pubblici i finanziamenti, sia interni che internazionali". Per il numero uno del Viminale, però, la cosa più importante è un'altra: "L'essere arrivati a un accordo attraverso un patto, e non con una legge che introduce una prescrizione" precisa, "perché le leggi che agiscono sulla sfera religiosa rischiano di trasformarsi sempre in un terreno molto scivoloso. Il particolare più importante di questo accordo sta dunque proprio nell'elemento pattizio, cioè nel riconoscimento reciproco. Se il patto funzionerà potremo avere un 'Islam italiano', che sarà un passo ulteriore verso l'integrazione e la sicurezza. Ma su alcuni princìpi bisogna essere chiari" chiosa Minniti, "l'Italia è un Paese laico che non impone leggi religiose e che non può tollerare il fatto che la donna sia sottomessa all'uomo. Su questi punti non negozieremo. Perché è la democrazia a non essere negoziabile".

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