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Elisabetta Sgarbi porta Linus a destra con gli inediti di Houellebecq

Cristina Agostini
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Titubo, da usurato lettore, come Charlie Brown davanti alla ragazzina dai capelli rossi. Non so. Io non so se - come sussurra l' editore nonché nuovo direttore responsabile, Elisabetta Sgarbi - ad Umberto Eco, nostalgico del futuro, «il progetto del nuovo Linus sarebbe piaciuto...». Forse gli sarebbe piaciuto. Specie considerando che vi spicca l' epurazione della satira politica; e l'«atto di riappropriazione» proprio del fumetto concentrato sui Peanuts e Calvin e Hobbes; e le sperimentazioni di Tommi Musturi, Fabio Visocogliosi o Gabrielle Bell; e che allega, però, Resist! un pamphlet antisessista griffato Ferris e Clowes. Ma forse ad Eco non sarebbe piaciuto. Specie considerando, per paradosso, il progetto grafico molto mook (ossia molto libro collettivo); e il tasso troppo specialistico, intellettuale anche se non militante, che ne satura le pagine: come la pubblicazione di Tsuge Yoshiharo, leggenda del manga che avrebbe terribilmente annoiato -conoscendolo- Oreste Del Buono, il nume immortale del Linus antico. Eppure. Eppure, uno osserva la copertina di questo Linus troneggiare dallo stand Baldini & Castoldi al Salone di Torino: due omarini che soffono l' awful stench, l' orribile lezzo di una merda «presidenziale» sulla copertina della «Rivista di fumetti e altro» griffata dal Premio Pulitzer Art Spiegelman; uno osserva e pensa, effettivamente ad una svolta. Non è un caso che Elisabetta Sgarbi, annessa con un lampo d' alta strategia editoriale la casa editrice alla sua Nave di Teseo, abbia nominato direttore editoriale del magazine Igort. Igort, al secolo Igot Tuveri, è un narratore vero, granitico e lieve, conosciutissimo all' estero: sta al graphic novel italiano come Saul Steinberg stava all' illustrazione del New Yorker negli anni 50. 5 IL NUMERO PERFETTO - Per dire: il suo 5 è il numero perfetto, un noir tra i i bassi napoletani ispirato a Sergio Leone vinse ogni premio possibile (e mi fece riavvicinare ai fumetto italiano che negli anni 80, dopo il gruppo Valvoline, si era aggrovigliato all' autocompiacimento). E Igort possiede l' arte dello spiazzamento. Infatti mi ha spiazzato sfogliare il primo numero di Linus firmato da lui, e trovarmi, lì in mezzo, A chiare lettere-abbecedario houlebecquiano, ossia una sorta di Dizionario del diavolo in stile Ambrose Bierce compilato da Michel Houellebecq, l' autore-monstre di Sottomissione, tacciato dalla sinistra di mezzo mondo di incitamento all' odio razziale e islamofobia. Oltre ad essere lo zenith del politicamente scorretto e considerato assai di destra, Houellebecq scrive qui divinamente voci del tipo: «Comunismo. Marx era un autore più brillante e profondo. È riuscito a soppiantare le altre correnti socialiste con il suo gusto della formula, "La religione è l' oppio dei popoli". Non poteva funzionare». Oppure: «Verità. È estremamente raro che un fatto vero sia sfruttabile così com' è. Bisogna sempra modificare per raffinare. La realtà è molto caotica». Oppure: «Sinistra. Più ci sono governi di sinistra, più c' è controllo sociale. Il fatto che i non fumatori abbiano dei diritti, ecco un' idea di sinistra».«E via sentenziando. Ora, io sospetto che in un' ottica crossmediale, quest' inedito autobiografico e intimista di Houellebecq sia il preludio di un libro in arrivo. Se possiedi due case editrice e una rivista non butti via nulla. Ma questo spuntino di pregiata narrativa - non so perché- mi ha evocato gli esordi, nel 1967, di Linus, territorio franco di tradizione grafica e sperimentazione politica (accanto ai disegni di Topor c' era il repubblicanissimo Li' l Abner di Al Capp..). Con il primo numero della rivista vennero pubblicati gli interventi di Vittorini, Del Buono ed Eco che legittimano la dignità culturale del fumetto. Editoriali e articoli diventarono poi una costante di Linus, una delle sue cifre distintive insieme alle copertine, con in primo piano l' omonimo protagonista dei Peanuts, e alla posta di Charlie Brown dedicata ai lettori. Nelle sue pagine trovarono, in seguito spazio classici come Braccio di Ferro, fumetti di disegnatori francesi e italiani, il belga Tintin di Hergé, Doonesbury dell' americano Gary Trudeau, Valentina di Guido Crepax, le illustrazioni di Folon e di Tadini fino ai racconti di scrittori come Italo Calvino. Solo in seguito la rivista si riempì- talora con eccessi- della satira dei volti tv e dei dibattiti di giornalisti ipermilitanti. Oggi, per dirla alla Bonomi, si ritorna alle origini con una «rivoluzione di velluto». E con qualche necessaria messa a punto... di Francesco Specchia

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