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Digeronimo, la pm che indagò Vendola vuole diventare primo cittadino di Bari

Pm ai tempi della Tangentopoli pugliese e poi esiliata a Roma, vuol diventare primo cittadino di Bari e scardinare un "sistema clientelare"

Lucia Esposito
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Un pm chiamato Desirèe. Oggi forse Tennessee Williams intitolerebbe così la sua sceneggiatura, non perdendo in forza drammatica e complessità della trama. Desirèe Digeronimo, ex pm titolare dell'indagine sulla Sanitopoli pugliese in cui è stato coinvolto e infine assolto Nichi Vendola, si candida adesso a sindaco della città di Bari, sostenuta da numerose liste civiche. E presenta il conto della sua prima vita professionale, quella da magistrato, improvvisamente cambiata la scorsa estate con il suo trasferimento dalla Procura di Bari a quella di Roma, in seguito a una procedura di incompatibilità ambientale avviata nei suoi confronti da parte del Csm. In gioco, allora, c'era l'esposto con il quale la Digeronimo aveva chiesto ai suoi superiori di fare chiarezza sull'amicizia tra il giudice Susanna De Felice, che aveva  assolto Nichi Vendola, e la sorella del governatore, Patrizia: rapporto testimoniato anche da alcuni scatti pubblicati da Panorama. Da quel momento, nella magistratura del capoluogo pugliese si era alimentato un clima di sospetti e maldicenze verso la stessa pm, che infine ha deciso di lasciare la Procura dove lavorava e di rinunciare (pro tempore?) alla toga.   Digeronimo, da dove nasce la sua scelta di tornare a Bari e scendere in politica? «Da Bari non me ne sono mai andata: pur lavorando a Roma, ho sempre fatto la pendolare. Quanto alla politica, sentivo la necessità di presentare un'idea di buona amministrazione a questa comunità. Finora la politica locale e in particolare il centrosinistra si sono affidati a un sistema familistico e clientelare, distribuendo una serie di mance e favori, come hanno dimostrato molte indagini dell'Autorità Giudiziaria. Da parte mia, vorrei invece proporre una politica di gestione della cosa pubblica imparziale e indipendente». Come è cambiata la sua vita dopo l'inchiesta su Vendola? «Devo ammettere che la mia richiesta di trasferimento dalla Procura di Bari a Roma è stata necessitata dalla volontà di mettere fine a pettegolezzi e frasi calunniose, oggetto della pratica per incompatibilità aperta nei miei confronti. Ho inteso salvaguardare il prestigio e la credibilità della Procura di Bari, affidando alle sedi competenti il dovere di far luce su quanto falsamente affermato al Csm». Crede che il procedimento di incompatibilità ambientale sia stato figlio di una decisione politica, se non di un attacco parte di Magistratura Democratica verso di lei? «Ho sempre denunciato l'eccessivo peso di certe correnti in magistratura e la politicizzazione di alcuni personaggi. Ritengo per questo sia arrivato il momento di riforme coraggiose per porre fine a simili patologie del sistema». Nel 2009, nel pieno dell'inchiesta Sanitopoli, il presidente Vendola scrisse una lettera pubblica in cui le chiedeva di astenersi dall'indagine e la tacciava di incompetenza. Pensa che il Governatore, delegittimandola, abbia ostacolato la sua libera attività di magistrato? «Vendola non è riuscito a ostacolarmi perché come magistrato avevo e ho un dovere di equilibrio e serenità che nessuno mai potrebbe scalfire. Chi ha usato il proprio potere politico, al di fuori delle sedi competenti, per interferire sull'attività di chi svolgeva solo le sue funzioni giudiziarie, potrà essere giudicato, dal punto di vista politico e morale, da tutti i cittadini». Cosa le ha fatto più male in quella vicenda? Il sospetto sulla sua amicizia con Lea Cosentino (la manager dell'Asl che aveva nominato primario un'amica della stessa Digeronimo, Paola D'Aprile, e in seguito aveva accusato Vendola nell'ambito dell'inchiesta), il teorema secondo cui lei avrebbe avviato l'indagine come vendetta per non aver ricevuto un favore da Vendola, o addirittura l'illazione sul suo desiderio di rivincita verso il suo ex compagno Roberto De Blasi (scalzato, nel ruolo di primario, dalla stessa D'Aprile)?  «Tutte queste cose insieme, visto che non si basano su fatti oggettivi, ma su insinuazioni che io derubrico a “pettegolezzi di provincia”. Lea Cosentino, ad esempio, mi era così amica da essere stata rinviata a giudizio da me due volte. Ancor più grave, poi, è stato dare in pasto questi pettegolezzi alla stampa da parte di personaggi interni all'istituzione che istruiva la pratica aperta nei miei confronti». Ora lei abbandona momentaneamente la toga. Non dovesse essere eletta, riprenderebbe a fare la pm? «Sì. Per non tornare più in magistratura, non è sufficiente candidarsi, ma bisogna essere eletti e misurarsi concretamente con l'esercizio di funzioni politiche. Solo allora si intrecciano rapporti, che diventano incompatibili con l'esercizio autonomo della professione di pm». Gianluca Veneziani

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