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Marito puzzone obbligava la moglie al sesso: condannato per stupro

L'uomo, un pastore siciliano, pretendeva di avere rapporti dopo essere stato nella stalla e lei lo aveva denunciato. La Cassazione le ha dato ragione

Matteo Legnani
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Lontani i tempi in cui l'uomo aveva "da puzzà". Oggi (a meno che non si chiami Brad Pitt), si deve lavà e pure sprofumà se non vuol finire condannato a due anni e mezzo di reclusione per violenza sessuale, come è capitato a un pastore siciliano del catanese. L'uomo era stato denunciato dalla moglie. La donna si rifiutava di avere rapporti sessuali con lui perchè non curava la sua igiene personale, e nonostante questo, si vedeva, con la forza, costretta a subirli. La quarta sezione penale della Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso dell'uomo contro la condanna inflittagli dalla Corte d'appello di Catania. Inizialmente l'imputato era stato assolto dai giudici di merito dal reato di violenza sessuale, e condannato solo per maltrattamenti in famiglia e violenza privata, ma la Suprema Corte, con una pronuncia di qualche anno fa, aveva riaperto il processo.  La donna, si legge nella sentenza depositata oggi, era "contraria ai rapporti sessuali perchè l'uomo era solito consumarli al rientro della propria attività di pastore, senza praticare alcuna igiene e pulizia del proprio corpo". I giudici del merito avevano inizialmente assolto il marito dall'accusa di stupro ritenendo che la donna finisse "poi per accettare volontariamente i rapporti sessuali". Di diverso avviso era stata la Cassazione, nella sua prima sentenza sul caso, in cui aveva annullato con rinvio l'assoluzione dell'imputato, osservando che egli, "dopo aver immobilizzato con le mani la moglie, le imponeva i rapporti sessuali, senza aderire affatto alle richieste della coniuge di effettuare la necessaria igiene del proprio corpo". La Suprema Corte aveva quindi ribadito che il reato di violenza sessuale (articolo 609 bis del codice penale) sussiste "in tutti i casi in cui i rapporti sessuali vengano in qualsiasi modo imposti, essendo del tutto irrilevanti le modalità e i mezzi utilizzati e le motivazioni che avessero indotto la parte offesa a rifiutare non un astratto rapporto sessuale con il marito, ma il rapporto sessuale da questi preteso e poi imposto senza che avesse praticato quella igiene personale che la donna riteneva indispensabile", anche dato il lavoro svolto dall'imputato. Alla luce di queste osservazioni della Suprema Corte, i giudici d'appello-bis hanno ritenuto l'uomo responsabile anche del reato di violenza sessuale. L'imputato ha dunque presentato ricorso in Cassazione, lamentando la "contraddittorietà" e la "manifesta illogicità" della sentenza. I giudici di piazza Cavour, invece, hanno reso definitiva la condanna del pastore. L'uomo è stato quindi anche condannato al pagamento delle spese processuali e a versare mille euro alla Cassa delle ammende.

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