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Giampaolo Pansa: Matteo Renzi è un teleimbonitore. Per l'Italia sono tempi bui

Andrea Tempestini
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Mi immagino un investitore straniero che debba decidere se aprire oppure no un'azienda in Italia. I suoi consulenti gli consigliano di farlo, ma per non tradire l'incarico ricevuto sono costretti a mandargli dei rapporti sconfortanti che descrivono con realismo quanto accade nelle istituzioni italiane, il primo interlocutore dell'uomo d'affari. L'ultimo report è tragico. Racconta di mille parlamentari riuniti in seduta comune che non riescono a eleggere due membri della Corte costituzionale. Ben tredici votazioni non hanno prodotto nulla. Poi il Parlamento ha deciso di regalarsi un lungo weekend e di tornare a riunirsi soltanto il martedì 23 settembre. L'investitore chiama uno dei consulenti e chiede: «I candidati sono sempre gli stessi?». «Sì, un certo Donato Bruno indicato da Forza Italia e un certo Luciano Violante del Partito Democratico». L'uomo d'affari domanda: «Ma questi signori non hanno pensato di ritirarsi per lasciare il passo a due candidati più graditi?». «No, almeno per ora». L'investitore bofonchia: «Ho capito, i soliti italiani…». Si scrivono ogni giorno migliaia di parole sulla crisi dei nostri partiti. E tuttavia non si riflette sino in fondo su una verità che va molto al di là del contrasto micidiale tra le varie parrocchie. Seguitiamo a occuparci del Partito Democratico, di Forza Italia, dei Cinque stelle e della Lega come se fossero entità viventi e in grado di svolgere i compiti che i loro elettori gli hanno assegnato. Invece abbiamo di fronte una distesa di macerie, un accampamento di zombie, di morti che camminano. E ci offrono uno spettacolo ripugnante. Il più evidente è una singolare inversione dei ruoli. L'opposizione di centrodestra sostiene un governo che in teoria dovrebbe essere il suo avversario. Lo sorregge, gli offre sempre nuovi patti da firmare, fa di tutto affinché il premier sopravviva. La maggioranza di centrosinistra, al contrario, vorrebbe liberarsi del proprio presidente del Consiglio. Non ha il coraggio di sfiduciarlo in modo aperto e così provocare la crisi. Ma sta ingaggiando una guerriglia interna con la speranza di accopparlo per vie traverse. Questo scambio di ruoli, che avvicina la politica a certe coppie male assortite, è causato da una realtà che sta sotto gli occhi di tutti: i due maggiori partiti italiani sono defunti, non esistono più. Qual'è il carattere essenziale di un partito? L'unità di intenti. In Italia resiste, più o meno, nella parrocchia di Beppe Grillo e nella Lega di Matteo Salvini. Per il resto è scomparsa. Forza Italia è un insieme di politici che si guardano in cagnesco e che il vecchio Silvio Berlusconi non riesce più a guidare. Qui mancano persino i soldi perché non tutti i big forzisti vogliono mettere mano al portafoglio. Il leader, un signore che tra otto giorni compirà 78 anni, è impotente a mettere un po' d'ordine nelle sue truppe, sempre più scassate. Eppure s'intestardisce a restare in sella. Il Partito Democratico è messo ancora peggio. Tutto lascia presumere che la vecchia ditta, guidata da Pierluigi Bersani, stia immaginando una secessione. È possibile che avvenga? Se accadesse, non mi stupirei. La sinistra italiana si è sempre divisa. Dopo la prima guerra mondiale, il Psi si spaccò tre volte, l'ultima ventuno giorni prima della marcia su Roma di Benito Mussolini, anche lui uscito dal campo socialista. Lo stato di salute del Pd è reso ancora più tombale da una circostanza del tutto anomala: il premier in carica, Matteo Renzi, prima di arrivare a Palazzo Chigi è diventato il segretario democratico. Di lì ha deciso di conquistare il governo. In casa Pd non esiste una divisione dei ruoli, dal momento che Renzi recita tutte le parti possibili. Quando raduna al Nazareno il vertice del partito, scelto da lui, gli italiani che ancora seguono la politica si domandano se in quel momento indossi la camicia bianca come leader della sua parrocchia o come capo dell'esecutivo. Renzi è un personaggio che darà molto da fare ai politologi prossimi venturi. Accusa il resto del mondo di essere malato di «annuncite», mentre è lui a essere infettato del virus di sbandierare progetti, riforme e rivoluzioni che non riuscirà mai ad attuare. Il primo a rendersi conto di parlare molto e di fare poco è lo stesso Renzi. Tanto da aver deciso di cambiare il proprio sistema di esternazione. Sta abbandonando la tecnica dei twitter e dei blog che il grande pubblico non segue. D'ora in poi la sua strategia comunicativa sarà identica a quella usata dal vecchio Berlusconi quando stava al culmine del potere: i videomessaggi. Da registrare a Palazzo Chigi e poi da trasmettere agli italiani attraverso la televisione. Il premier sa che la tivù può essere la sua Piazza Venezia. Mussolini parlava dal fatidico balcone e i discorsi arrivavano agli italiani grazie alla radio. Venerdì 19 settembre Renzi ha diffuso il primo videomessaggio nei telegiornali della sera. Era dedicato all'attacco contro i sindacati che continuano a difendere il vetusto articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. I tigì l'hanno portato nelle nostre case. Regalandoci un Renzi in maniche di camicia e con tutti i nei sul faccione, mentre negava infuriato di essere l'erede della signora Margaret Thatcher, per replicare all'accusa lanciata dalla segretaria della Cgil, Susanna Camusso. Entrambi incuranti che milioni di italiani non sappiano quasi niente di quella signora alla testa del governo conservatore inglese degli anni Ottanta, una faccenda vecchia di un trentennio. Teniamo presente l'esperimento di due giorni fa. Può essere il primo di tanti che verranno. Segna un mutamento profondo nella figura del premier. In una democrazia parlamentare, il presidente del Consiglio si confronta con i deputati e i senatori. Ma ho l'impressione che Renzi voglia parlare al popolo. Lo sta già facendo nel suo incessante giro d'Italia per visitare le aziende degli imprenditori che lo hanno finanziato nelle primarie per la segreteria del Pd. Lo farà sempre più spesso, attraverso il balcone televisivo. Resta da capire se questo lo aiuterà ad affrontare una crisi economica e sociale diventata drammatica. Di certo gli servirà ben poco la squadra che lo assiste a Palazzo Chigi. È un cerchio magico che, salvo qualche eccezione, è di una mediocrità sconfortante. Tutti sono stati arruolati sulla base di un criterio unico: la fedeltà. Ma da sola non basta. Per limitarmi a un esempio, non è sufficiente aver comandato i vigili urbani di Firenze per coprire un ruolo centrale nell'apparato di Palazzo Chigi. Siamo già in pieno disordine istituzionale. Una delle conferme sono le tredici inutili votazione per scegliere due giudici della Consulta. Ma dal disordine non ci vuole nulla per arrivare al caos. Un virus che non sarà di certo bloccato dalle invettive del premier contro i gufi, i rosiconi, i tecnici che vogliono imporsi, i pessimisti che vedono nero. Il virus mi ricorda quanto avvenne settant'anni fa, l'8 settembre 1943. Quel giorno morì l'Italia, non soltanto quella monarchica e del fascismo, ma la patria per tanti cittadini. Oggi siamo all'8 settembre dei partiti italiani. Che esito può avere? Non penso a una guerra civile, bensì a un declino inarrestabile, purtroppo non privo di violenza. Ecco il mio timore. Ecco la mia paura: essere trascinati in una notte carica di spettri. di Giampaolo Pansa

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