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Benito Mussolini, quando il Duce umiliava gli avversari a colpi di spada

Andrea Tempestini
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Se oggi, per lavare un'onta, piovono denunce, diffide e querele, meno di un secolo fa giungevano stoccate e fendenti. Per avere soddisfazione di un'offesa patita nei nostri tempi di magra si aspetta un risarcimento danni in moneta sonante, nel secolo scorso invece non si esitava ad esporsi a sciabolate o a pistolettate. Così va il corso del mondo. Occuparsi però di duelli, di come si cercava di riparare alle ingiurie un tempo, non significa sprofondare nella storia di costume. Non è un modo per spiare la vita passata dal buco della serratura come se da lì si vedesse tutto. È una buona lente invece per scrutare la storia da un altro punto di vista particolare, lasciandosi alle spalle sentieri battuti. Ne I duelli del Duce. Dalle memorie segrete del medico di Mussolini (Pietro Macchione Editore, pp. 178, euro 15) lo storico e giornalista Roberto Festorazzi setaccia i diari di Ambrogio Binda, medico e amico di Mussolini dai tempi non sospetti dell'Avanti!. Frequentandolo fin dal 1913-1914, il dottore ha avuto modo di osservare l'ascesa di un leader, il modo in cui il futuro capo del fascismo è riuscito ad acquisire visibilità e peso fronteggiando i suoi nemici politici non solo dalle colonne dei giornali che dirigerà o dalle piazze che occuperà, ma anche all'ombra della spada. Non bisogna pensare che l'appena trentenne rivoluzionario romagnolo fosse già debitore dei miti del vivere pericolosamente o della bella morte. La ricerca della soddisfazione in duello non fu solo una sua prerogativa. Per quanto eclissatasi all'inizio dell'Ottocento, durante la Belle Époque torna in auge. E non solo in ambito politico. Il poeta Giuseppe Ungaretti sfida Massimo Bontempelli per sanare reciproche maldicenze letterarie. Filippo Tommaso Marinetti incrocia le lame con il critico letterario Charles-Henry Hirsch, che aveva osato stroncare una sua opera teatrale rappresentata a Parigi. Figurarsi se poi Gabriele D'Annunzio accetta di sottrarsi a un così onorevole rito d'iniziazione. Ma la sorte non gli è benigna: torna dal duello con Carlo Magnifico e poi con Edoardo Scarfoglio recando qualche cicatrice in più. Soltanto nel secondo dopoguerra la pratica cade in disuso, riducendosi a una media di sessanta sfide all'anno. Ma ancora nel 1947 tenzoni alla spada vedono protagonisti il socialista Paolo Treves e il qualunquista Emilio Patrissi. Tre anni più tardi addirittura Oscar Luigi Scalfaro viene sfidato a duello dal marito di Edith Mingoni Toussan per aver redarguito la donna per il suo décolleté. Ma il futuro presidente della Repubblica ignora il guanto lanciato. I tempi evidentemente stavano cambiando. Eppure il Popolo d'Italia, nemmeno trent'anni prima, dava grande eco al coraggio del suo direttore. Tra il 1915 e il 1922 Mussolini riesce a piegare a fil di spada più di uno dei suoi avversari. Sotto i fendenti del futuro leader politico finiscono, uscendone malconci, l'anarchico Libero Merlino, il socialista Claudio Treves, il nittiano Francesco Ciccotti Scozzese, il maggiore Cristoforo Baseggio e il giornalista Mario Missiroli. Le tenzoni assumono così, grazie al rilievo dato dalla stampa, un ruolo importante nella costruzione del carisma del Duce. Sembrava che una buona stella proteggesse il suo cammino e a trarne vantaggio era la fama dell'invincibilità e dell'eroismo di Mussolini. Se all'abilità nei duelli fanno da corona la passione per gli sport pericolosi e la fortuna di essere scampato a diversi attentati, il suo coraggio e il suo intuito diventano agli occhi degli italiani infallibili. Tanto valeva, si pensava, che si mettessero alla guida dell'Italia. E così avvenne per 20 anni. di Simone Paliaga

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