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Obama e Cuba, svolta storica: i comunisti scelgono gli Usa, chi lo dice ora a Gianni Minà?

Giulio Bucchi
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Quanti rebeldes da poltrona hanno appreso ieri sera la notizia delle inattese aperture tra USA e Cuba, fissando, increduli e confusi, il frigorifero. Non la televisione (loro non posseggono nemmeno l'apparecchio), proprio il frigorifero sul cui sportello avevano attaccato con orgoglio la figurina calamitata di Obama che dice Yes, we can e quella del Che che fuma sprezzante il sigaro sopra la scritta «Senza perdere la tenerezza». Altro che tenerezza, qui c'è da perdere la testa. Anche Cuba si inchina al capitalismo americano. Perché, diciamoci la verità, dietro il nero Obama non ci sono le folle di afro-americani che cantano We shall overcome e vorrebbero radere al suolo Wall Street. Dietro Barack ci sono i ricchi radical-chic degli attici a Manhattan. C'è il milionario George Clooney che organizzò una cena per sostenerlo alla quale si partecipava pagando in media 50.000 dollari a coperto, ossia quanto un cubano guadagnerebbe in venti anni (e al cui confronto le criticate cene pro-PD a 1000 euro sono una merenda dell'oratorio). Quante lacrime avranno versato ieri sulla pajata gli intellettuali filocastristi de noantri mentre prendevano in mano la gomma per correggere ancora una volta la Mappa del Paradiso. La stessa con cui nell'89 cancellarono la Germania Est, l'Albania, persino l'URSS, e tutti quegli Elisi Rossi in cui pare si vivesse uguali e felici. Pare, perché ben pochi poi andavano a verificare, figuriamoci a vivere. Bastava un concertone ogni tanto, come Jovanotti, il quale cantò a Cuba nel 2009 in una manifestazione in cui c'era anche un improbabile Miguel Bosé. Il Jova, nell'occasione, rilasciò una dichiarazione storica: «Mi sembra una cosa assurda che, nel 2009, un ragazzo viva in un posto dove non ci sia accesso a Internet». Intorno a lui le migliaia di giovani presenti pensavano forse più alla loro miseria materiale e alla fame che al poter accedere alla Rete per sfasciarsi di porno. Il concerto iniziò alle due del pomeriggio, con una temperatura di 32 gradi. Si capisce quindi come mai la testolina di Lorenzo, ormai cotta, partorì concetti come: «La musica non può rispettare un embargo. Lo rispettino i politici, gli artisti non possono rispettarlo». E adesso che l'embargo non c'è più, di che parleranno i tanti paladini castriani che sputavano contro la solita America crudele? Faranno la fine di Michael Moore che con la scomparsa di Bush ha dovuto cambiare lavoro. Peggio di Moore però sta Gianni Minà, costretto anche lui da una sorte bizzarra e cattiva a non potere più lavorare. Per anni ha gestito un personale Ufficio del Turismo Cubano, producendo una raffica di documentari sul Che. Avrà pianto anche lui ieri sera, vedendo la capitale di «tutti i sud del mondo» che sceglie di imparentarsi con Uncle Sam. Minà, goditi la pensione. Tutti i tuoi idoli altromondisti non fanno più notizia. Maradona è diventato un evasore ciccione. Hanno liberato la Baraldini. Rigoberta Manchù è stata trombata alle elezioni presidenziali e si è dovuta accontentare della cittadinanza onoraria di Caorle. Cittadine veneta dove, fra l'altro, si aggirava anni fa Ernest Hemingway, di professione scrittore etilista. Anche lui aveva una visione paradisiaca di Cuba, isola che usava come riserva di pesca tra un libro e l'altro. In una sua rimpatriata all'Avana nel 1957 si lamentò della città che era cresciuta troppo e dei grattacieli che affollavano le spiagge. Insomma, il Bianciardi che arriva da casa sua per insultare i grattacieli degli altri è una figura internazionale. Se sei un intellettuale di sinistra non deve piacerti il progresso. Devi rifiutare non solo il lusso, ma persino il benessere. Se anche i cubani si fossero dati a una vita dignitosa e libera avrebbero perso quel fascino pezzente che tanto piace a chi invece nel benessere ci vive, anche grazie allo sfruttamento di chi è rimasto per decenni sull'isola a subire le tirannie di Castro. Il quale pare non capisca più niente e allora il fratello ne ha approfittato e si è accordato con Obama. All'Avana magari saranno contenti. Noi non potremo più raccontare la gloriosa barzelletta del bimbo cubano che chiede al genitore «Papà, è ancora lontana l'America» sentendosi rispondere «Zitto e continua a nuotare». Adesso in America ci potrà andare anche chi non sa nuotare. Invece i cubanisti, i fan dei Diari della Motocicletta, gli orgogliosi espositori di stinte magliette con il Che che fuma, sono tristi. Dove trovare un altro paradiso in cui ambientare la loro fola comunista? Resta solo la Corea del Nord. Ma è troppo pericoloso andare fin laggiù e rischiare di incontrarvi Antonio Razzi. di Tommaso Labranca

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