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Islam, l'inferiorità della donna: non possono scegliere neppure come morire

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Andrea Tempestini
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Sono inferiori anche nella morte. Esplodono come gli uomini, e dopo la detonazione i brandelli bruciacchiati dei loro corpi sono indistinguibili dai resti maciullati dei maschi. Eppure restano pezzetti di carne inferiore. Perché lo stabilisce il Corano: «Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni sugli altri; e perché essi donano dei loro beni per mantenerle». Sono inferiori, e per questo venivano mandate al macello dai ceceni, che si inventarono «le vedove nere caucasiche», come ricorda Renzo Guolo nel suo nuovo libro L'ultima utopia (Guerini editore). In quel caso, si trattava di donne che furono indotte a sacrificarsi «dai maschi di famiglia superstiti, che le ritenevano socialmente marginali senza marito o figlio». Lo Stato islamico, invece, non ama le kamikaze, poiché la loro esistenza «potrebbe far pensare alle donne che l'eguaglianza di genere sul terreno della morte “sulla via di Dio” sia possibile». Dunque torna che Hasna Aitboulahcen, la ragazza saltata in aria l'altra sera a Saint Denis, non si sia fatta esplodere. È andata in pezzi davanti agli agenti che cercavano suo cugino Abdelhamid Abaaoud, il bastardo che ha organizzato l'eccidio di Parigi. Ma a quanto sembra è stata travolta dal botto provocato da un altro kamikaze. Un maschio, che ha deciso come farla morire. Pare che gli amici la soprannominassero «Cowgirl», per l'abitudine di indossare spesso un cappello da texana e per la facilità con cui passava da un ragazzo all'altro. I quotidiani inglesi la descrivono come una «party animal», una festaiola a cui piaceva bere e fumare. Le foto uscite in questi giorni mostrano la sua trasformazione: in alcuni selfie appare mezza nuda, occhi pittati, t-shirt striminzite. Poi, il niqab.All'apparenza, era una insospettabile. Carriera scolastica ineccepibile, aspetto gradevole, tante amicizie e un buon lavoro. Si presentava come responsabile di una società di costruzioni chiamata Beko, creata nel 2001 e liquidata nel 2014. Che si trattasse di una scaltra e ferocissima forma di mimetismo? Oppure questa ragazza ha perso la brocca dopo il fallimento della sua impresa, rifugiandosi nel radicalismo? Ogni ragionamento viene cancellato dalla fiammata di una cintura esplosiva. Quella di un uomo, però. Hasna era l'esca: ha gridato per attirare le teste di cuoio, si è sacrificata per chi la considerava poco più di un oggetto. Da un certo punto di vista, ha avuto più coraggio di Salah Abdeslam, lo stragista del Bataclan che invece di darsi la morte se l'è data a gambe (attirandosi accuse di vigliaccheria da parte dello Stato islamico). Eppure, nonostante tutto, Hasna è morta da inferiore. Perché gli uomini vengono prima, perché «la donna è considerata uguale nella fede ma non nell'ordine mondano». È per questo motivo che, oggi, tocca alle donne dare una risposta. Tocca a loro cambiare il mondo islamico, non soltanto quello cosiddetto «radicale». La violenza dell'islam, infatti, non consiste soltanto nello spingere una ragazza come Hasna a farsi uccidere. Esiste invece una violenza diffusa, quotidiana, che opprime le donne sia in alcuni Paesi dell'Africa e del Medio Oriente sia nelle città europee. Lo ha spiegato la scrittrice Mona Eltahawy in un libro intitolato Perché ci odiano, appena pubblicato in Italia da Einaudi. «Noi donne arabe viviamo in una cultura che ci è fondamentalmente ostile, imposta dal disprezzo maschile. (...) Fatemi il nome di un Paese arabo, e vi citerò una litania di abusi commessi contro le donne di quel Paese, abusi alimentati da un cocktail velenoso di cultura e religione che in pochi sembrano disposti a non bere, nel timore di risultare offensivi o blasfemi». Non c'è «rivoluzione» o «primavera» che tenga: «Le donne sono ancora ben nascoste e ancorate alla casa, impossibilitate a prendere l'auto e a spostarsi liberamente, costrette a chiedere il permesso agli uomini se vogliono viaggiare e la benedizione al maschio che fa loro da guardiano se vogliono sposarsi o divorziare». Capite che qui non c'è il «radicalismo». Qui c'entra l'islam, «moderato» o «estremo» che sia. Poiché è il testo sacro a regolamentare la vita delle donne. E sono gli studiosi islamici moderni - come ha scritto la coraggiosa Ayaan Hirsi Ali - ad appoggiarsi alla «decisione di Maometto di sposare una bambina di sei anni, consumando il matrimonio al compimento del nono anno di età, per giustificare la pratica delle spose bambine in Iraq e nello Yemen». Di fronte a queste mostruosità, tocca alle donne alzare la voce, e scegliere per se stesse. Il compito - arduo e rischiosissimo - spetta alle femmine che vivono nei Paesi musulmani, ma anche e soprattutto a quelle che vivono qui. Se si ribellassero alla shari'a e all'interpretazione letterale del Corano che le condanna a uno stato di minorità, forse costringerebbero anche i loro uomini a cambiare. Molto più di altre religioni, l'islam ha l'impronta di un «Dio Alfa», un Dio mascolino fino alla brutalità, che promette agli uomini un paradiso in cui «la propria moglie ha i tratti e i pregi che il marito vorrebbe davvero», come scrive ancora la Ali. In questo quadro, è difficile che i maschi appoggino una rivoluzione culturale. Avanti le donne, allora. Le islamiche in primis, se vorranno. E pure quelle occidentali, tanto «militanti». Sta alle donne stabilire il limite. Il limite agli abusi, ma anche ai diritti, che in Occidente hanno proliferato fino a trasformare la parità in confusione di generi e ruoli: un caos che favorisce l'ordine fittizio dei jihadisti. E spinge tante giovani europee a stabilirsi nel Califfato come «casalinghe del jihad» o a morire per spedire il maschio in paradiso dalle sue vergini. Come ha fatto Hasna, che si è sbriciolata per decisione altrui nemmeno fosse un soprammobile. di Francesco Borgonovo

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