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Vittorio Feltri, siamo noi genitori a creare in casa una genia di bulli

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Gino Coala
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Il mondo si è capovolto, e l'ennesima prova che questo è un dato acquisito consiste nel fatto che una volta erano gli insegnanti a picchiare gli alunni, mentre ora le parti si sono invertite: i ragazzi menano di brutto i docenti, che prendono un sacco di botte. A me non sembra normale. E ancor meno lo è un altro fenomeno che si registra nello stesso ambiente dell'istruzione: spesso se uno studente viene rimproverato a causa di una mancanza grave, corre a casa e piange sulle spalle dei genitori. I quali, sentendosi offesi o addirittura ingiuriati nella loro veste di mamma e papà, l'indomani si presentano al cospetto del cattedratico, chiedono spiegazioni a muso duro, e al culmine della irritazione non trovano di meglio che seppellirlo di cazzotti. Non soddisfatti di aver vinto il match pugilistico, corrono nella redazione del giornale locale e si sfogano così: abbiamo castigato il maestro perché meritava una punizione per non essere stato capace di ottenere il meglio dall'amato figliolo. E aggiungono: «Perdio, la scuola deve educare, non sgridare». Leggi anche: Il prof bullizzato a Lucca, l'orrore in classe / VIdeo Ciò è quanto succede da qualche tempo in qua nel nostro sguaiato e impenitente Paese. Tutti sono convinti sia compito dei docenti impartire lezioni di buon comportamento agli allievi, se però gli insegnanti stessi si permettono di redarguire coloro che non si adeguano alla disciplina della classe, apriti cielo, scoppia un litigio che sovente sfocia in una aggressione dei padri irritati ai professori severi, colpevoli di aver fatto il loro dovere. Certi episodi vengono catalogati alla voce “bullismo”, quasi che i bulli fossero figli dell'era tecnologica. In realtà sono sempre esistiti, tuttavia gli davamo un altro nome: teppisti, termine che deriva da teppa, ossia estrema periferia lombarda. Il problema è che i teppisti, delinquentelli, nei ruggenti anni Cinquanta erano trattati dalla polizia a calci nel culo, e i magistrati non li assolvevano dando loro una pacca sulle spalle, bensì li giudicavano alla stregua di criminali. Oggi gli stessi docenti vittime di aggressioni, dopo aver subìto violenze, si affrettano a perdonare i manigoldi agevolandone il ritorno in aula come se non fosse accaduto nulla di grave. Ovvio che i giovanotti maneschi, protetti dalla famiglia e addirittura dai maestri deboli e inclini a minimizzare gli affronti patiti, siano incoraggiati ad assumere atteggiamenti spocchiosi o, peggio, rissosi. Gli adolescenti bulli sono tali in quanto noi gli consentiamo di esserlo. Invece di redarguirli li difendiamo, li coccoliamo, li giustifichiamo evitando con cura di raddrizzarli perché siamo in tutt'altre faccende affaccendati. Deleghiamo la scuola ad ammaestrarli e ad indirizzarli sulla retta via, persuasi che lo Stato sia obbligato a fare quanto noi non siamo più capaci: i genitori. Vogliamo che i pargoli imparino il sesso in classe, imparino a usare il computer, imparino il galateo, imparino la Costituzione, imparino tutto, perfino il codice stradale. Non riusciamo a ficcarci in testa un concetto semplice: la formazione dei figli, la loro crescita di cittadini modello avvengono in casa, a tavola con i familiari oppure non avvengono. A scuola ci si ingegna a leggere e a scrivere o poco più. Si apprendono la grammatica, la sintassi e l'aritmetica. A far capire la vita deve provvedere la famiglia. di Vittorio Feltri

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