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Vittorio Feltri e la tragica verità su Bettino Craxi: "Ho dato io il via alla caccia del Cinghialone, ma..."

Giulio Bucchi
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Pubblichiamo un capitolo del libro del direttore Vittorio Feltri "Il borghese. La mia vita e i miei incontri da cronista spettinato", in libreria per Mondadori. Si tratta del ricordo di Bettino Craxi: dal Raphael alla morte ad Hammamet. Conobbi Bettino Craxi nel periodo in cui collaboravo con Enzo Biagi nel suo programma tv. Erano gli anni Ottanta. Quella sera erano ospiti della trasmissione sia Craxi sia Gianni Agnelli. Quest' ultimo indossava un vestito grigio di flanella, calzava scarpe di camoscio, un paio di Clarks, e se ne stava seduto con le gambe divaricate come fosse un cowboy tornato a casa sfinito dalla cavalcata. Bettino, che gli era accanto, invece, era abbigliato come un manichino, eppure alla vista risultava sciatto. Non era una trasandata eleganza la sua, che pure sarebbe stata chic, sembrava più pigrizia nel selezionare i capi. Craxi era alto quasi due metri e corpulento, il suo aspetto da gigante mal si conciliava con la pacatezza e la cordialità dei modi. Era affabile persino con me, che ero un semplice autore che si muoveva dietro le quinte. Restai colpito e affascinato dal suo essere mellifluo. Allorché alcuni anni dopo andai a dirigere L' Europeo, feci un titolo riferito proprio a Bettino: Figlio di un dio minore. Craxi non godeva di un numero esorbitante di voti, eppure comandava l' Italia. La titolazione non suscitò molte proteste. Anche il mio editore, la Fiat, non ebbe nulla da ridire al riguardo, del resto era cosa nota che i rapporti tra la casa editrice e Bettino non fossero propriamente idilliaci. A quell' epoca Dc e Psi iniziavano a perdere appeal mentre il consenso alla Lega, su cui nessuno avrebbe scommesso un soldo, lentamente cresceva. Intuivo che si stava apprestando un cataclisma. E così fu così. Ero appena passato alla direzione dell' Indipendente quando scoppiò il caso "Mani pulite". Il sostituto procuratore Antonio Di Pietro condusse le indagini che si estesero fino a inglobare esponenti politici di rilievo, tra cui Bettino Craxi, che finì sotto tiro e divenne l' emblema del malaffare. Scrissi che sarebbe stato opportuno acciuffare "il cinghialone", che era appunto il leader dei socialisti. Lo battezzai io con questo simpatico epiteto, che peraltro gli calzava a pennello considerata la sua mole. Da quel momento, per tutti Craxi fu "il cinghialone" e fu davvero perseguitato. Sembrava insomma che l' unico ladro fosse lui, eppure tutti i partiti, incluso quello comunista, si facevano finanziare. Il caprone espiatorio - Il caprone espiatorio di Mani pulite un bel dì mi telefonò chiedendomi un incontro. Il suo tono era intimo, quasi disperato, diceva che voleva assolutamente parlarmi di persona. Quindi mi scomodai e raggiunsi la capitale un po' impietosito da quell' uomo che io avevo contribuito a mettere alla gogna e un po' incuriosito dal vis-à-vis con la bestia. Il cinghialone mi aspettava presso l' hotel Raphaël, nel quale si favoleggiava che Bettino avesse un attico stratosferico dagli anni Settanta e vivesse nel lusso sfrenato grazie ai soldi delle tangenti. L' albergo aveva un certo fascino visto dall' esterno, forse anche per il manto di leggende che lo avvolgeva, ed era ricoperto di edera. Sceso dal taxi, sollevai d' istinto lo sguardo per scorgere l' appartamento del leader semidecaduto. Poi raggiunsi l' ultimo piano e, uscito dall' ascensore, mi ritrovai in una sorta di topaia. In quei locali regnava la sciatteria: i posacenere erano traboccanti di cicche di sigarette, l' odore di fumo era avvinghiato alle pareti, le tappezzerie erano vecchie e logore, i divani sdruciti, l' atmosfera squallida e fané. Ero alquanto impressionato, ma cercai di nasconderlo, intanto Bettino aveva cominciato il suo discorso, lo stesso che poi fece alla Camera. Sembrava che volesse tenere al mio cospetto l' esercitazione preliminare, che avesse deciso che io dovessi essere lo spettatore e l' ascoltatore primo di ciò che egli aveva da raccontare all' Italia intera. Erano le prove generali. Il cinghialone vomitò lì la verità, liberandosi: disse che il sistema era completamente marcio, che in molti ne avevano approfittato, non soltanto lui e i membri del suo partito. Aggiunse che aveva preferito non intervenire per porre fine a tale andazzo malsano in quanto sarebbe stato preso per matto. «Non è che si rubasse per il partito, si rubava anche al partito» spiegò. Nessuno lo ammise, l' unico a farlo fu Craxi. E lo fece in quella stanza di albergo, davanti a me, che ero amico di Antonio Di Pietro e rappresentante numero uno dei manipulitisti, e poi anche in tribunale. Da allora, dopo profonde riflessioni, cambiai registro. Bettino fu condannato dal Tribunale di Milano. Quando la sentenza divenne definitiva, al fine di scampare la carcerazione, si rifugiò ad Hammamet. Lontano dalla Madre Patria, dai sontuosi palazzi del potere, da quello che per due decenni era stato il suo appartamento all' ultimo piano dell' hotel Raphaël, dai tribunali festanti perché Giustizia era stata fatta ma non appagati perché il cinghialone era fuggito via prima della cattura, Bettino quasi tutte le sere, puntuale come un orologio svizzero, alle ore 23 mi telefonava a casa, a Milano, affamato di notizie e desideroso di dire la sua su quanto succedeva. Era un modo per non sentirsi del tutto tagliato fuori, estromesso senza lode e senza onori dalla storia italiana. Bettino si fidava di me, capiva che ero in buonafede. Si dice che per costruire un sentimento di fiducia tra due persone siano necessari diversi lustri, ma è una balla. Esso può nascere all' improvviso, guardandosi negli occhi in una stanza piena di posacenere sudici, in un pomeriggio qualunque in cui un uomo disperato si mette nelle mani di colui che gli ha sferrato uno dei colpi meglio piazzati, aizzando la folla. Io sbagliai. E lo ammetto. E ho imparato dal mio errore. Durante le nostre conversazioni dall' Africa all' Italia, Bettino esprimeva le sue opinioni, sosteneva che Berlusconi, in procinto di fare il suo ingresso sulla scena politica, non sarebbe riuscito a governare come Dio comanda e che non disponesse dell' esperienza e della duttilità indispensabili a un leader. La mia era una sorta di nota politica, in quanto, nel luogo in cui si trovava Bettino, i quotidiani arrivavano in ritardo. TIFOSO DI GARIBALDI Craxi non lasciava trasparire le sue emozioni, c' era in lui un amaro sentimento di abbandono. Era un tifoso di Garibaldi, possedeva un marcato spirito patriottico, perciò gli mancava in modo insopportabile la partecipazione alla vita pubblica. In fondo, egli era stato un perno della politica italiana, sebbene la gente ora lo disprezzasse e lo volesse linciare come quella famosa sera del 30 aprile 1993, quando, dopo essersi rifiutato di uscire dal retro dell' albergo in cui viveva al fine di evitare la folla, fu assalito dai dimostranti che gli tirarono addosso monetine, accendini, sassi e qualsiasi altra cosa capitasse loro a tiro. E l' impavido Bettino, salito in macchina, li osservava dal finestrino con un sorriso strano, come se lo stessero festeggiando. Le nostre telefonate furono intercettate e su tutti i giornali fu pubblicata la notizia come si trattasse di uno scandalo o un gravissimo reato: il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, conversa con Bettino Craxi. Il contenuto di quelle chiamate non era un segreto e i nostri discorsi erano persino noiosi. Insomma, nulla di avvincente. Fui sputtanato, ma io me ne fregai e continuai a parlare con Bettino, che mi piaceva anche perché era stato tradito da tutti, persino dai suoi compagni. Lo rispettavo e provavo pena per lui; proprio io, che all' inizio lo avevo attaccato in modo brutale, ora lo difendevo. Era un tipo in gamba, l' unico italiano ad avere capito che il comunismo era morto, quando ancora nessuno lo sospettava. Lo rivalutai completamente, imparando a stimarlo poiché era lucido, sagace e anche simpatico.Tra noi si instaurò una speciale empatia e diventai anche amico della figlia, iniziando a frequentare la famiglia Craxi. La sua morte fu un vero dolore per me. Il telefono alle 23 non squillò più da un giorno all' altro, proprio quando avevo convinto Bettino a scrivere per me in qualità di collaboratore per il Giornale. Il politico, che già aveva diverse problematiche di salute, fu stroncato dal logorante malessere interiore che gli procurava quella insopportabile emarginazione. riproduzione riservata Pubblichiamo un capitolo del libro del direttore Vittorio Feltri «Il borghese. La mia vita e i miei incontri da cronista spettinato», in libreria per Mondadori. Si tratta del suo ricordo di Bettino Craxi: dal Raphaël alla morte ad Hammamet. «Il Borghese»

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