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Pure Dario Fo preferiscei soldi cinesi al Dalai Lama

Il premio Nobel difende il dietrofront del sindaco Pisapia sulla cittadinanza al leader tibetano: "Scelta obbligata in vista di Expo"

Matteo Legnani
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  Giunto a uno stadio avanzato di bollitura senile, Dario Fo si è convinto di essere Henry Kissinger e si mette a dare lezioni di diplomazia e realpolitik, teorizzando che, dopo tutto, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha fatto bene a ritirare la cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Riassumiamo i fatti per chi, beato lui, non si fosse imbattuto nelle  imprese del primo cittadino lombardo.  Martedì la massima autorità religiosa, la guida spirituale e politica dei tibetani arriverà sotto la Madoninna e vi si tratterrà tre giorni. Tenzin Gyatso, il «salvatore», avrebbe dovuto accettare la chiavi della città, come già avvenuto altrove (per esempio a Roma). Però, come prevedibile, sono arrivate le pressioni cinesi. In seguito alle quali Pisapia - lo strenuo difensore dei diritti umani, civili e religiosi; l'uomo che nel maggio 2011 proclamava: «Sosteniamo che vada riconosciuto un principio, un diritto umano fondamentale: quello di poter esercitare in libertà e dignità la propria fede»   - ha preferito fare macchina indietro. Il Dalai Lama sarà ricevuto a Palazzo Marino, ma si scordi la cittadinanza. Tenersi i soldi di Pechino per l'Expo  è più importante che esprimere solidarietà a un personaggio il quale rappresenta - prima ancora di una religione - un popolo vessato da un regime comunista che per decenni e decenni gli ha strappato la terra e insidiato la dignità. L'ATTACCO DI GRILLO La faccia di bronzo di Pisapia ha attirato sberleffi un po' da ogni parte. Persino da Beppe Grillo, il quale ieri ha pubblicato sul blog una caricatura di Pisapia conciato come Mao Tse Tung e, sotto il titolo «Pisapippa e il Dalai Lama», frasi come queste: «La Cina, oltre ad aver occupato il Tibet, ha occupato anche Palazzo Marino. I neo maoisti meneghini hanno bocciato l'onorificenza a Tenzin Gyatso in nome dei danè». Ma per un  comico genovese che si scaglia contro il sindaco, c'è un buffone milanese pronto a difenderlo. Ed ecco che torniamo a Dario Fo. Ieri, su Repubblica, il premio Nobel  ha esposto una teoria cristallina riguardante i rapporti che il Comune lombardo deve avere con la Repubblica popolare cinese. Teoria che potremmo riassumere così: se i cinesi minacciano di riprendersi i soldi, non c'è leader di una minoranza perseguitata che tenga.  Secondo il teatrante, il Dalai Lama non riceverà l'onore promesso per «colpa del potere di ricatto della Cina».  Mica per colpa di Pisapia che se la fa nelle brache appena l'ultimo rappresentante del governo di Pechino lo chiama. Che volete farci, se quelli ordinano, mica si può dire di no. E in ogni caso bisogna difendere l'amico sindaco, l'uomo della «rivoluzione arancione». Dunque Fo si mette a danzare sul filo dei distinguo. Da un lato, si affretta a precisare,  «il Dalai Lama ha tutta la mia stima e la mia solidarietà». Tuttavia... Già, tuttavia cosa? «Un conto è parlare da privato cittadino, come faccio io e come fa mia moglie Franca. Un conto è amministrare una grande metropoli alla vigilia dell'Expo».  Ah, un conto è dare aria ai denti, un altro è governare. E quando bisogna governare capita di doversi sottomettere anche a  compromessi. Peccato che il realismo politico valga solo per Pisapia. Nei confronti di Berlusconi Fo utilizzava ben altro metro. Per esempio, lo massacrava quando questi si recava in visita da Putin. Il teatrante dedicò al rapporto tra i due anche uno spettacolo, L'Anonimo Bicefalo, e si lamentò quando la versione russa Berlusputin non venne rappresentata in alcune città. Sorvoliamo su Gheddafi.  Ma di fronte a Pisapia che si prostra ai piedi degli amici cinesi, il   premio Nobel si profonde in giustificazioni. «Con la Cina ci sono rapporti delicati e importanti», spiega. «Credo sia stata una scelta sofferta, sotto una pressione esterna pesante, col rischio che la Cina non partecipasse all'Expo». E ai soldi Milano «non pò rinunciare». Anzi, «ci sono questioni di opportunità alle quali non si può derogare». Che grande intepretazione, quella di Fo. Per questa dovevano premiarlo. Sentite come si immedesima nel personaggio dello statista: «Il regime di Pechino, che una volta si poteva chiamare comunista, ha strumenti per fare pressioni che superano il livello locale». Sentite quale amarezza esprime con le sue parole dolenti: «Comprendo le ragioni degli attuali amministratori, persone civili e oneste, costrette a mandar giù il rospo per il bene della città». TUTTI AMICI Certo, uno che si esibisce in tanto sfrenata opera di leccaculaggio a beneficio del sindaco di Milano non può mica stupirsi se il suddetto sindaco si piega dinnanzi ai diktat pechinesi. Dopo tutto, Dario Fo non  può scaricare l'amico Giuliano,  quello che gli concede prestigiosi spazi cittadini per esporre i suoi dipinti. Così come non ci si può aspettare che Repubblica  contesti Pisapia, visto che fra i redattori vanta la consorte di quest'ultimo, Cinzia Sasso. E infatti il quotidiano  schiera a difesa del primo cittadino anche l'ineffabile Francesco Merlo. Il quale prima si inginocchia e poi scrive, a proposito del Dalai Lama: «Sarebbe stato più facile concedergli la cittadinanza che negargliela». Vero: intascare i soldi cinesi è difficile, quasi impossibile, bisogna avere un cuor di leone e fregarsene alla grande dei tibetani.  Mica tutti ci riescono. Pisapia e Dario Fo ne sono capaci. Attenti, però:  scaricano il Dalai Lama ma un po' ne sono pentiti. In fondo, è il loro idolo. In campagna elettorale, Pisapia disse a Claudio Bisio che avrebbe tanto voluto incontrarlo. E ieri Dario Fo ha risposto a un quesito analogo. «Incontrerà il Dalai Lama?», gli ha chiesto la cronista di Repubblica. E lui: «Lo spero fortemente». Speriamo anche noi che accada. Giusto per sentire che cosa dirà  il Dalai Lama a Dario Fo, l'amico dei cinesi.  di Francesco Borgonovo  

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