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No Tav, Erri De Luca: "Se mi condannano non farò appello, andrò in carcere"

Giulio Bucchi
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Martiri No Tav in rampa di lancio. "Se mi condannano per istigazione alla violenza non farò ricorso in appello. Se dovrò farmi la galera per avere espresso una opinione, allora la farò", parola di Erri De Luca, scrittore di fama e simpatizzante del movimento contro l'Alta velocità in Val di Susa. Intervistato dall'HuffingtonPost, l'autore di Montediddio sotto inchiesta per istigazione a delinquere ribadisce quanto sostenuto sullo stesso sito lo scorso settembre: "La Tav va sabotata". Una opinione che gli è costata l'apertura di un fascicolo presso la Procura torinese, guidata allora dal procuratore Giancarlo Caselli, e che il prossimo 5 maggio lo vedrà in aula per l'udienza preliminare. "Quella frase la ripeterei perché è il mio pensiero", e perché resta, come detto al quotidiano francese Le Monde, "l'obbligo morale alla disobbedienza". "Non chiederò il rito abbreviato  - spiega De Luca - perché preferisco un processo aperto con udienze pubbliche. Non so quanti anni di carcere sto rischiando, non mi occupo di queste cose, ma non voglio sconti di pena. E se dovessero condannarmi, ho concordato con il mio avvocato che non ricorreremo in appello. Se dovrò andare in galera, allora ci andrò". Secondo lo scrittore a finire alla sbarra è il diritto d'opinione: "Invece di sabotata potrei dire bloccata o impedita, quello è il concetto. Mi contestano il reato di istigazione alla violenza ma è chiaro che mi processeranno per avere espresso una opinione. In aula difenderò il diritto di parola, perché i giudici intendono il verbo sabotare in maniera restrittiva, ovvero come danneggiamento diretto. E invece sabotare nella storia ha sempre avuto un'accezione politica: anche gli operai che bloccavano le catene di montaggio sabotavano, pur senza rompere alcun macchinario. E' questo il valore principale della parola sabotaggio in Val di Susa: l'opposizione politica all'opera".   "I pestaggi? Episodi marginali" - Di anni De Luca ne rischia 5, mentre sono 30 quelli a cui potrebbero essere condannati i 4 attivisti No Tav Chiara Zenobi, Mattia Zanotti, Claudio Alberto, Niccolò Blasi, in carcere e il cui processo inizia il 22 maggio. L'accusa è pesante: terrorismo. "Sono accusati di terrorismo perché avrebbero danneggiato un macchinario, ma non sono stati colti in flagranza di reato, bensì con flagranza differita, una delle invenzioni giuridiche di questo strano Paese utilizzata dai magistrati che vogliono rimanere comodi. Siamo al delirio". De Luca se la prende con il regime carcerario punitivo cui sono sottoposti i quattro giovani, "come facevano con la nostra generazione negli anni '70". Tutta colpa di quei magistrati protagonisti di una "oltre mille incriminazioni, una repressione di massa. Quei magistrati sono diventati partigiani dell'opera, ne hanno sposato la custodia, sono diventati i guardiani dei cantieri e in nome della Torino-Lione reprimono un intero movimento". La tesi è quella comune anche ad altri ambiti dell'antagonismo nazionale: incidenti di piazza e pestaggi sono solo "episodi marginali" se non "pretesto per impedire l'espressione del dissenso". A questo clima partecipano anche i giornalisti, "embedded al seguito delle truppe e fieri di esserlo". Se poi qualcuno nei cortei porta le bombe carta, il problema non è del "movimento", ma del questore di turno: "Per mestiere gestisce l'ordine pubblico. Se non riesce a farlo allora sta facendo male il proprio mestiere". 

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