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Monica Buzzegoli, la nuora di Benito Mussolini: a 89 anni, vive sola e dimenticata con pochi euro di pensione

Andrea Tempestini
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Dalle feste di casa Mussolini, animate da politici e personaggi di spicco, alla solitudine di una malattia che le ha sbiadito ormai ogni prezioso ricordo. Monica Buzzegoli, 89 anni il prossimo 12 dicembre, seconda moglie del figlio del Duce, Vittorio Mussolini, da diversi anni vive in povertà a Forlì, città poco distante da Predappio, dove è ospitata la cripta di Benito e dove è sepolto anche suo marito dal 1997. Per tanti anni la coppia ha vissuto con Donna Rachele Guidi a Villa Carpena. Ed è stata proprio Monica, la “dama” italo-argentina, nata a Vinci in Toscana e trasferita ancora bambina a Rosario (Santa Fe') in Argentina insieme ai genitori e ai suoi sei fratelli, ad accompagnare quel 30 ottobre del 1979 l'ultimo respiro della vedova del Duce. In Romagna c'è ancora chi le ricorda come due donne dal carattere forte, così diverse, ma unite da due amori importanti vissuti nel segno dello stesso ingombrante cognome. Monica ci mostra e bacia la foto di Donna Rachele, con immenso affetto. Sorseggia il thè caldissimo, come a suo gusto devono essere gran parte degli alimenti. Si guarda attorno, a cercare un po' di conforto da quegli arredi famigliari. Le sedie dell'Ottocento sono l'unico orpello di un arredamento minimale anni Cinquanta. C'è un sollevatore fornito dall'azienda sanitaria locale chiesto dalla badante per riuscire ad alzarla dal letto, rose finte multicolori sparse ovunque, «perché Monica ama quei fiori», pavimenti in graniglia tipici dell'epoca, con disegni e raffigurazioni simmetriche del razionalismo che tanto piaceva a Benito Mussolini. Un lungo e stretto corridoio pieno di soprammobili e foto ovunque. All'ingresso un piccolo pupazzo raffigurante una streghetta, che lei ama tanto. Il bagno è ristrutturato ma piccolissimo, in cucina, pochi mobili bianchi e di poco valore, i cappelletti e il parmigiano reggiano, dolcetti a base di marmellata. «ERA GELOSO» Ormai Monica passa dal letto alla sua poltrona in sala da pranzo, dove osserva ancora le tante foto che la circondano, tracce di un glorioso ma ormai lontano passato. Racconta e chiude gli occhi. Oggi il tempo le ha portato via tutto, tranne lo sguardo austero e quei marcati lineamenti del viso che ancora raccontano la storia di una donna affascinante, elegante, dal carattere forte. Qualità che hanno fatto innamorare oltre mezzo secolo fa il figlio del Duce. «Vittorio, Vittorio... Il mio amore! È stato un grande amore il nostro». Piange e si commuove ogni volta che ricorda il marito, mentre nasconde le mani sotto una coperta di lana che la avvolge nonostante la temperatura ancora tiepida. «Ci siamo conosciuti ad una festa, è stato amore a prima vista. Vittorio era geloso, qualche volta. Lui amava il cinema, io l'opera lirica. Eravamo così uniti e lui è stato un marito straordinario». Di nuovo si commuove, poi si coccola con un piccolo bignè alla crema che va giù a fatica. Vittorio era stato pilota di aerei caccia nella seconda guerra mondiale. E come il fratello Romano che era innamorato del jazz e della pittura, conservava una vena artistica: ha creato la società di produzione cinematografica a Roma che ha dato lavoro anche al giovane Federico Fellini, ha prodotto film e scritto libri. Monica e Vittorio si sono conosciuti in Argentina. Nel 1945, quando lui aveva 29 anni, dopo la caduta del fascismo e dopo l'esecuzione del padre, il figlio dell'ex capo di Stato fu costretto a lasciare l'Italia. Si rifugiò in Sudamerica. Il “comandante”, come riporta la scritta sulla sua tomba, era già stato sposato con Marina Orsola Buvoli. Un breve matrimonio celebrato il 3 febbraio del 1937 e dal quale sono nati Guido ed Adria. Qualche anno dopo, l'incontro con Monica, che smise presto di cantare la lirica per seguire Vittorio, ma insieme a lui continuò a frequentare teatri come spettatrice dell'opera. All'epoca Vittorio era direttore alla Fiat a Buenos Aires. Nel 1967 i due amanti raggiunsero l'Italia e dopo aver vissuto per breve tempo a Roma (ospitati da Mimmo Musti, il co-pilota che il 7 agosto 1941 era a fianco di Bruno Mussolini, fratello di Vittorio, il giorno dell'incidente aereo in cui morì) e a Milano (a casa del cugino Gervasi), nel 1968 si trasferirono a Villa Carpena di Forlì. Si sposarono in Municipio a fine anni '70. Nel 2002 la “dama” è stata costretta ad andarsene quando la villa è stata venduta per essere trasformata in un museo. «Quando è morta Donna Rachele, Monica è rimasta alcuni anni sola a Villa Carpena. Poi se n'è dovuta andare ed ha soggiornato così per circa un anno in un hotel a Castrocaro Terme - racconta un suo fedele amico che frequentava la villa forlivese -, prima di trovare un appartamento in affitto a Forlì. Con la morte del marito tutto è cambiato. Lei e Vittorio accompagnavano spesso Donna Rachele a far spese, a trovare conoscenti, a far visita alla cripta a Predappio. Stavano bene e vivevano tranquilli. Ogni tanto andava a trovarli anche Edda Mussolini, la primogenita del Duce, che ha stretto una forte amicizia con Monica». Edda regalò a Monica un grande quadro di un pittore argentino oltre a un anello con un diamante a cui teneva tanto, sbattuto un giorno sul tavolo fino a scheggiarlo per rabbia, quando ancora i rapporti tra figlia e madre erano tesi per la morte di Ciano (come è noto Edda accusava il padre Benito di aver avuto un ruolo nella morte del marito Galeazzo Ciano) prima di far pace con la madre Rachele. Da Fini a Gasparri, da Licio Gelli ad Assunta Almirante: sono tante le personalità politiche che hanno frequentato e omaggiato Monica e Vittorio. GLI AIUTI Anni lontani. La moglie del secondogenito di Benito Mussolini, che non ha mai nascosto la sua simpatia per Berlusconi, oggi riceve una pensione da miseria: 238 euro al mese. Se all'assegno dell'Inps si aggiungono i 500 euro dell'accompagnamento, la mezza pensione del consorte defunto, la cifra che ne esce basta a malapena a coprire il costo della badante rumena che da 5 anni accudisce l'anziana. La signora Mussolini oggi sopravvive grazie agli aiuti di chi le è rimasto vicino in memoria di un cognome che, non ce ne voglia il deputato dem Emanuele Fiano che si sta battendo per eliminare ogni simbologia legata al fascismo, suscita ancora nostalgici nazionalismi. «Vogliono impedire il commercio dei gadget mussoliniani? Impossibile». Ha risposto Monica, che in camera da letto conserva il busto dorato del Duce, un omaggio della famiglia Almirante. Fuori dal portone del palazzo del Ventennio, in perfetto stile mussoliniano, e dal quale la vedova del “comandante” non esce più da un paio di anni, c'è il grande viale che porta alla stazione, dove ancora imperano tanti lampioni in ghisa che mostrano fieri le effige del fascismo di un ormai secolare passato. di Simona Pletto

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