Cerca
Logo
Cerca
+

Vittorio Sgarbi, l'addio al padre Nino Sgarbi: talento padano e galantuomo, ecco la storia di un poeta della vita

Alessandra Menzani
  • a
  • a
  • a

Il respiro letterario di Giuseppe Sgarbi detto «Nino», galantuomo di fatto e di parola, scomparso all' età di 97 anni alla vigilia della pubblicazione del suo quarto memoir Il canale dei cuori (Skira), ha pochi eguali nella storia della narrativa. Pochissimi. Forse soltanto Josè Saramago e Frank McCourt sono riusciti a prendere a braccetto la propria vecchiaia e l' hanno portata a spasso tra i ricordi, trasformandola in letteratura. Ma entrambi avevano sessanta-settant' anni. Sgarbi è diventato scrittore vero a 93 anni, quasi a sua insaputa, e su spinta della figlia Elisabetta, editor della Bompiani. La quale, con comprensibile pudore, aveva intuito che il piccolo mondo del padre, fatto di letture, arte e ricordi poteva spalancarsi su un libro di successo. Sicché fu tra gli scaffali della sua farmacia che il dottor Sgarbi, mollò i ricettari e gli alambicchi. E, con lo sguardo sul «labirinto incantato dell' argine del Po», concepì la sua prima opera, Lungo l' argine del tempo-Memorie di un farmacista (sempre Skira). Dalle cui pagine cominciò a gocciolare tutta la sua personale mitologia: la nonna Angela, l' enigmatica zia Eliduina, le sorelle Angiolina, Lidia e Nelly, le storie del Polesine alluvionato e del mulino di Stienta, il primo alimentato ad energia elettrica nel Nordest; i laboratori di chimica all' università; la passione per le donne ereditata dal padre Vittorio e trasmessa al figlio Vittorio; le liturgie della propria casa di Ro ferrarese trasformata, alla bisogna, in un cenacolo d' intellettuali e artisti, gente come Bassani, Zurlini, Moravia, Eco, Zeri, Tondelli. Quel primo libro, insomma, fu una sorpresa per il mercato letterario (che gli negò il Campiello, ma gli assegnò il Bancarella) e una seduta di psicanalisi per i figli più famosi. Per dire. Vittorio, che sempre aveva rimproverato a Giuseppe la decisione d' averlo fatto crescere in collegio, solo grazie al quel volumetto dalla prosa rigorosa ma limpida e gentile scoprirà che «l' autore di quel libro è il padre che volevo e solo ora ho scoperto di aver avuto». E solo questo, per chi appena appena conosce gli Sgarbi, varrebbe il racconto. La prosa del farmacista è il ricettacolo d' una vita dominata dalla virtù e dal senso dell' onore. Nino Sgarbi non s' è mai allontanato troppo dalla sua amata Ferrara. Transumava verso Stienta, Camerino, Ancona, Treviso, Valdobbiadene, al massimo Tirana, Patrasso o Ventimiglia. Eppure i suoi amarcord, piccole grandi storie italiane, sono talmente densi da giocarsela con le pagine migliori di un Buzzati, o del miglior Mario Soldati, l' uomo che aveva reso proprio il Po il suo miglior confidente. E quella realtà vagheggiata da Nino aveva trovato sublimazione nella figura della moglie Rina Cavallini, la «spaccatutto», il suo ufficiale di complemento, incontrata alle lezioni di chimica all' università e sposata all' insaputa del resto del mondo. Rina trova spazio tra gli argini d' ogni pagina di Nino. La si evoca sia in Non chieder cosa sarà il futuro (2015), sia, soprattutto, in Lei mi parla ancora (2016), un' elegia appassionata in memoria della moglie appena scomparsa. Per approfondire leggi anche: "Vittorio Sgarbi choc sul padre: "L'ho visto gridare e poi morire" Di Giuseppe Sgarbi scrittore, probabilmente il ritratto migliore l' ha fatto Claudio Magris: «Una personalità - e una penna - ricca di tenerezza e istintivamente incline a incutere soggezione. Il suo sguardo ha la spregiudicatezza di chi è libero da idoli, convenzioni, retoriche e non ha paura di guardare in faccia la morte, la guerra, il disincanto di tutte le cose. Ma il suo sguardo è soprattutto quello del rispetto, che Kant considera la premessa di ogni virtù e che sembra sempre più raro. Giuseppe Sgarbi si toglie il cappello dinanzi alla vita, alle persone, alla realtà, come si fa o si faceva una volta - lo dice una sua forte pagina - dinanzi a un funerale». Definitivo. L' arabesco di un talento che rischiava di essere fuori tempo massimo, ma che è riuscito a risvegliare le passioni degli altri sussurrando le proprie. In quest' ultimo romanzo, Il canale di cuori, Sgarbi evoca anche il ricordo del cognato di Nino, Bruno Cavallini, con cui riallaccia un dialogo interrotto trent' anni prima. Vi invito a leggerlo come l' ha scritto Nino Sgarbi stesso. Tra una poesia di Céline una di Leopardi, davanti a un' alba che restituisce i colori al delta del fiume, magari dopo un giro in bicicletta tra le nebbie padane che non ci sono più. E pedalando «con la tristezza seduta sulla canna». Sapendo che, come scrive Nino «senza tristezza l' arte non sarebbe mai esistita»... di Francesco Specchia

Dai blog