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Berlusconi-Lario: la sentenza della cassazione che mette fine ai sogni di Veronica

Matteo Legnani
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Rinunciare a una «carriera promettente» per accettare un lavoro part-time e dimettersi prima dei 50 anni «senza alcuna prova di costrizione o di tentativo di riprendere l'attività lavorativa» risulta essere una «libera scelta di vita» che non conta nel riconoscimento e nella quantificazione di un assegno di divorzio. Lo si evince da una sentenza depositata oggi dalla sesta sezione civile della Cassazione che sottolinea che a giustificare l'assegno di divorzio «non è di per sè, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all'epoca del divorzio, nè il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge richiedente l'assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale», ma la «mancanza della indipendenza o autosufficienza economica di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa». Leggi anche: Veronica, la ridicola motivazione del ricorso alla Cassazione: perchè vuole riavere i soldi da Silvio In tal modo la Suprema Corte continua a definire, dopo la rivoluzionaria sentenza della scorsa primavera con cui è stato escluso il tenore di vita goduto durante le nozze come parametro per la concessione dell'assegno di divorzio, le linee giurisprudenziali da seguire nelle cause divorzili. Il nuovo parametro della mancanza di indipendenza economica «va apprezzato - scrivono i giudici della Suprema Corte - con la necessaria elasticità e l'opportuna considerazione dei bisogni del richiedente l'assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sociale. Per determinare la soglia dell'indipendenza economica occorrerà - si legge nella sentenza depositata oggi - avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, nè bloccata alla soglia della pura sopravvivenza nè eccedente il livello della normalità». Con una seconda sentenza, sempre depositata oggi, la Cassazione chiarisce inoltre che «di regola» la durata del matrimonio influisce «sulla quantificazione, ma non anche sul riconoscimento dell'assegno».

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