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Gianfranco Fini, doppia trappola alla Camera: taglio del vitalizio e cognato estradato, lo stanno per rovinare

Andrea Tempestini
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Alla Camera, della presidenza di Gianfranco Fini resta una foto in bianco e nero appesa nella “Corea”, la galleria longitudinale che corre parallela al Transatlantico, alle spalle dell'aula di Montecitorio. Il cerimoniale prevede che tutti i presidenti uscenti abbiano il proprio ritratto in quel settore. Si parte dalla prima assemblea legislativa del Regno di Sardegna e si finisce con Laura Boldrini. Per lei c'è già lo spazio sul muro. Ma «la presidenta» non si è fatta ancora immortalare. È vero, è un rituale un po' lugubre. Esorcizzato con un'ironia tutta romanesca dagli assistenti parlamentari. Che, quando passano davanti al feticcio finiano, ritratto mentre mostra felice l'arcata dentale superiore, lo rimproverano così: «A Gianfra', ma che te ridi?». Esatto, l'ex presidente di An ha davvero poco da ridere. Perché la «sua» Camera gli sta preparando un bel pacco ad personam. Leggi anche: Più di 10 mesi fa, la disgraziata profezia di Gianfranco Fini LA SCURE GRILLINA Fallita la rielezione nel 2013, da allora Fini percepisce il vitalizio. È uno dei «privilegiati» che il suo successore Roberto Fico ha messo nel mirino. Ma le disgrazie viaggiano sempre in coppia. Ed ecco la scoperta. Il primo disegno di legge che l'esecutivo Gentiloni ha depositato alla Camera è l'atto 344: «Ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato degli Emirati arabi uniti». E chi è che fa la bella vita a Dubai con un mandato di cattura internazionale sul collo che l'Italia non riesce a eseguire? Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini. Accanimento. O nodi che vengono al pettine. Gianfranco viene eletto alla Camera nel 1983. Aveva 31 anni. In Parlamentari trascorre metà della sua esistenza. Ne esce nel 2013 e non con le proprie gambe. Nella sua ultima legislatura lancia a Silvio Berlusconi la sfida per la leadership del centrodestra. Ma ci sbatte il muso. Fonda un suo partito, Futuro e Libertà, e si allea con Mario Monti. Risultato? Resta fuori da tutto. Voleva il seggio, invece si deve accontentare della panca ai giardinetti di Val Cannuta. Per lui, però, c'è il premio di consolazione. Con otto legislature all'attivo, gli toccano subito 260mila di liquidazione. Eppoi il vitalizio, calcolato col metodo retributivo. A fine mese sul suo conto arriva un bonifico di 5.800 euro. Mica male. Se non fosse che il suo assegno, insieme ad altri 2.600, è finito sotto la lente dell'ufficio di presidenza della Camera. Il nuovo corso m5s vuole dare in pasto al suo elettorato un pezzo di casta coi capelli bianchi. La soluzione al vaglio è l'applicazione del sistema contributivo per tutti gli ex onorevoli. E a Fini andrebbe di lusso, avendo versato contributi per trent'anni. Questa ipotesi, però, ha il limite di toccare dei diritti acquisiti e finirebbe annegata dai ricorsi. L'alternativa più fattibile è quella del contributo di solidarietà. In questo caso, però, l'ex terza carica dello Stato ci perderebbe circa duemila euro netti. PROCURA ALL'ATTACCO Neanche può chiedere un aiuto economico alla compagna. I Tulliani non se la passano bene. La procura di Roma ha chiesto la custodia cautelare in carcere per il fratello di Elisabetta. L'accusa è riciclaggio. Le autorità di Dubai hanno arrestato Giancarlo rimettendolo in libertà su cauzione. Gli Emirati hanno già ratificato il trattato di estradizione chiedendo a Roma di fare lo stesso. L'accordo fa esplicito riferimento ai reati fiscali (come quello imputato a Tulliani), prevedendo una corsia privilegiata per l'estradizione anche nel caso in cui le legislazioni tra i due Stati siano differenti. Palazzo Chigi ha assicurato agli emiri che, operativo il Parlamento, l'Italia si darà una mossa. di Salvatore Dama

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