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Roberto Napoletano, l'intervista a Libero: "Nel 2011 dissi 'fate presto'. Ma oggi vi prego: fate piano"

Gino Coala
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«Fate presto». Così titolava il Sole 24Ore nel novembre del 2011, al culmine della crisi italiana, a caratteri cubitali, rievocando le parole di Pertini e il titolo del Mattino di Napoli dopo il terremoto in Irpinia: «Fate presto. Per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla». Nella Grande Crisi del 2011 le nuove macerie erano il lavoro e il risparmio degli italiani. Al timone del quotidiano di Confindustria ai tempi c' era Roberto Napoletano, da qualche mese in libreria con Il cigno nero e il cavaliere bianco (La nave di Teseo), alla terza ristampa, che ricostruisce quasi fosse un thriller economico l' estate e l' autunno in cui il Paese rischiò di fallire sotto le bordate dell' Europa che voleva mettere sotto tutela l' Italia, e dei mercati, che svendevano i nostri titoli di Stato come fossero spazzatura.   Presto il libro diventerà uno spettacolo teatrale, grazie anche alla sua straordinaria attualità. Pure oggi dall' Europa ci soffia addosso un vento ostile, ma per Napoletano le correnti più forti vengono da casa e, forse, oggi titolerebbe «Fate piano. Per non vanificare il risultato di tanti sacrifici, per non ripiombare nel caos». Leggi anche: Paolo Savona a Libero: "Serve un leader che ci porti fuori dall'Europa" Che analogie e che differenze ci sono oggi con il 2011? «Nel 2011 tutti i Paesi del Sud Europa erano a rischio sotto la spinta della crisi del debito sovrano greco. Noi ci abbiamo messo del nostro, ma la crisi veniva da fuori. Oggi la crisi sarebbe autoindotta: gli altri Stati sono in tranquillità, i mercati sono cauti, se l' Italia tornasse nell' occhio del ciclone sarebbe solo perché se l' è cercata». Mi stai dicendo che allora abbiamo rischiato il fallimento per cause esterne mentre oggi lo rischieremmo per colpa nostra? «Nel 2011 il Cigno nero italiano fu il risultato di tante cause improbabili che si verificarono tutte insieme. La caduta di credibilità del governo, la maggioranza che perdeva pezzi, il decoro violato delle istituzioni, i dissidi tra il premier Berlusconi e il ministro dell' Economia. Queste furono le cause interne. Ma i colpi più terribili arrivarono da fuori: la furia dei mercati, che scommettevano sul default di Italia e Spagna e sulla disintegrazione dell' euro; la follia di Sarkozy, che convinse Obama e Napolitano a bombardare la Libia; l' errore fatale del francese Trichet, all' epoca presidente della Bce, che non capì che dietro la crisi del debito greco c' era una crisi finanziaria, alzò i tassi invece di abbassarli e portò in Italia la seconda recessione e in Europa il rischio deflazione. Poi, nulla fu più come prima». E oggi invece? «L' Italia è reduce da due crisi globali che hanno prodotto danni quanto una guerra mondiale persa ma siamo rimasti in piedi e, seppure lentamente, siamo tornati a crescere. Se però torniamo a fare spesa assistenziale senza criterio, variamo programmi economici senza copertura e diciamo cose senza fondamento, spaventiamo i mercati e i partner europei, generiamo sfiducia sull' Italia, allontaniamo gli investitori e rischiamo di ripiombare nella crisi, stavolta totalmente autoindotta. Dare l' impressione che il nuovo governo nasca con una intonazione diffidente rispetto alla moneta unica vuol dire alimentare le preoccupazioni degli investitori. La sola ipotesi remota che un Paese possa uscire dall' euro e svalutare causa fughe di capitali: nessuno mantiene i soldi investiti in una moneta che può perdere valore. Questa preoccupazione è ancora a livelli bassi ma ci sono indizi microscopici - l' aumento della correlazione tra lo spread Btp-Bund e il cambio franco svizzero-euro - che consigliano molta prudenza». Ogni riferimento al piano di governo M5S-Lega è voluto? «M5S e Lega hanno raccolto un voto di protesta comprensibile, determinata da un lato da un' austerità dagli eccessi ingiustificati e dalle miopie francotedesche, dall' altro lato da una narrazione di rinascita e un' enfasi sulle cose fatte distanti da una realtà fatta di difficoltà quotidiane e incertezze laceranti. Ma i cittadini non devono essere illusi con promesse irrealizzabili. Stiamo facendo l' opposto di quello che dovremmo fare: siamo appena usciti dalla crisi, dovremmo dare messaggi rassicuranti e continuare sulla via delle riforme. Parlare di euro di serie A e di euro di serie B o di congelamento del debito significa mettere in evidenza la nostra debolezza: genera sfiducia, mette in fuga dall' Italia gli investitori, altro che complotto! Non si possono rimettere in discussione riforme strutturali, come quelle del ciclo pensionistico, perché sono la clausola di salvaguardia della sostenibilità del nostro debito e la garanzia del futuro dei nostri giovani. Se lo fai perdi credibilità sui mercati, non c' entra l' Europa ma la fiducia sull' Italia. Gli investitori si convincono che siamo i soliti inaffidabili e ci mollano». La critica all' Europa è sbagliata? «La classe dirigente europea è ripiegata su se stessa, la Merkel è paralizzata, Macron è contestato e oscilla tra visione europeista e grandeur di bassa lega fuori dalla storia e dalla realtà. Le critiche all' Europa sono legittime, anzi doverose, perché il suo cammino verso gli Stati Uniti d' Europa è fermo da tempo ma noi con il debito pubblico che ci ritroviamo, dobbiamo dimostrare di sapere rispettare le regole condivise se vogliamo essere credibili per cambiare in profondità quelle stesse regole e conquistare le alleanze giuste per realizzare l' auspicato cambiamento». Nel loro programma di governo, M5S e Lega hanno abbassato il livello di scontro con la Ue... «Certi comportamenti da pifferaio magico puoi tenerli se stai all' opposizione, non quando governi. I trattati sono ratificati da tutti: serve il voto di tutti, o convinci tutti o te ne vai da solo, il resto sono chiacchiere. Andarcene da soli è un' ipotesi che non considero, non mi occupo di disastri annunciati. Quanto all' aumento del deficit per liberare risorse, inviterei a riflettere su due cose. Primo: c' è una differenza tra stimoli fiscali e spesa assistenziale, tra Flat tax e reddito di cittadinanza, ed è impossibile, compensare del tutto gli aumenti di deficit e di debito necessari per sostenerli con l' extra-crescita. Secondo: se continuassimo nella politica di risanamento negoziando con l' Europa deroghe per la spesa pubblica produttiva, a partire dagli investimenti in infrastrutture, avremmo i conti in regola e ci ritroveremmo a regime con un tesoretto da almeno 15 miliardi, soldi veri non da libro dei sogni, perché sono risparmi sicuri sugli interessi che paghiamo per collocare i nostri titoli pubblici». Però gli italiani in maggioranza hanno votato contro l' Europa... «Il voto di protesta va utilizzato dalla politica come prova della profondità del disagio e come leva per mettere al centro del dibattito europeo il tema degli investimenti produttivi, l' idea di un' Europa solidaristica a guida almeno quadrimotore (Germania e Francia ma anche Italia e Spagna) e la scelta di una governance che permetta di uscire dalla dicotomia artificiale tra condivisione e riduzione del rischio. Un percorso importante, come al solito, è stato indicato dal presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Prima di tutto, un backstop fiscale per il Fondo di risoluzione unico delle banche che non va sbrigativamente liquidato come il bailout delle banche, ma piuttosto come lo strumento per creare la fiducia che la risoluzione venga di fatto realizzata. Con la fiducia cambia tutto. Il secondo intervento altrettanto importante riguarda la creazione di uno strumento fiscale addizionale europeo per mantenere la convergenza durante gli shock senza sovraccaricare la politica monetaria e rafforzare la fiducia nelle politiche nazionali senza sostituirsi a esse, dimostrando cioè ai popoli che l' Europa esiste e fa qualcosa di concreto per i suoi cittadini nei momenti di difficoltà». Le addizionali no... Sono tasse. Per questa Europa? «Ma perché non si potrebbero utilizzare meglio risorse che già ci sono nel bilancio europeo? Perché devono essere, per forza, nuove tasse? In più per un Paese con i nostri conti alla fine sarebbe comunque un vantaggio. La prossima crisi non potrà essere risolta solo dalla politica monetaria. L' Europa deve avere un proprio bilancio, indipendente da quelli nazionali, che consenta di intervenire per aiutare i Paesi in difficoltà». Mi convince poco... «Voglio indicarti un altro punto su cui spingere in casa nostra. Riguarda il fondo unico per le infrastrutture e consente di stabilizzare il flusso di investimenti per realizzare opere pubbliche importanti e finanziare la ricerca e l' università con un minimo di programmazione. Per fare tutto questo, però, soprattutto in Europa, serve un governo all' altezza della situazione, capace di interloquire con la Merkel e Macron alla pari sulla riforma dell' Eurozona, non incline a sbandamenti. Non è più il tempo delle sparate. Il Sud Europa è il grande assente nella discussione sulla nuova Europa». Macron non è un amico: dice che abbiamo un governo paradossale. Sbaglia? «Vedo in Francia prese di posizioni pericolose che mi ricordano il 2011, questo sì. Il Macron interventista in Siria somiglia al Sarkozy che ha portato tutto l' Occidente in guerra con la Libia, errore grave e interessato. A parole, Macron è europeista, e sul futuro da costruire per l' eurozona consapevole dell' urgenza dei tempi, ma nei comportamenti in generale è gollista e verso l' Italia è un gollista aspirante colonizzatore. Bisogna che l' Eliseo si renda conto che da solo con la Merkel non va da nessuna parte. Se vuole uscire dall' impasse ha bisogno di noi e deve imparare a rispettarci. Oggi l' interesse dell' Europa coincide con l' interesse italiano più che con quello dell' asse Berlino-Parigi». Flat tax e reddito di cittadinanza ti piacciono? «Sono contrario a soluzioni avventuristiche. Certo, ridurre la tassazione e allentare il peso degli oneri contributivi e fiscali è necessario e aiuta la crescita, però se non hai le coperture o se queste sono fatte a debito hanno la controindicazione di bruciare quel poco di ripresa sana che siamo riusciti a costruire, eviterei giri di roulette russa. Quanto al reddito di cittadinanza grillino, è il figlio naturale di un' Italia spaccata, che tiene insieme, esemplificando un Nord che è vicino alla Germania e un Sud che è giusto un passo sopra la Grecia. Uno Stato moderno si fa carico dei suoi poveri ma la via maestra per fare ripartire il Mezzogiorno sono gli investimenti produttivi: sono essi a creare crescita e lavoro, non gli assegni di sussistenza. Girando per l' Italia a presentare il mio libro mi sono spaventato perché mi sono reso conto che in troppi non hanno compreso che nel 2011 siamo stati davvero a un passo da un fallimento sovrano come quello dell' Argentina, che fece default nel 2001 e ancora oggi non si è ripresa, malgrado sia un Paese ricchissimo. Potevamo diventare la nuova Grecia, abbiamo scampato il pericolo di ritrovarci con ospedali senza medicine o di dovere privatizzare-svendere tutto. Si può cambiare in Italia e in Europa senza buttare via i risultati così faticosamente ottenuti. In questo modo il cambiamento sarebbe più solido e incisivo». di Pietro Senaldi

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