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Antonio Ingroia scrive a Matteo Salvini: "Rivaluti l'eliminazione della scorta per la mia protezione"

Matteo Legnani
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Ha fatto tanto scalpore, nelle ultime ore, la frase del ministro dell'Interno Matteo Salvini, sul mantenimento della scorta a Roberto Saviano "che - ha detto Salvini - mi risulta trascorrere lunghi periodi all'estero". Ma c'è chi, senza scorta, c'è già rimasto per davvero. E corre rischi sicuramente maggiori rispetto allo scrittore di Gomorra. Si tratta dell'ex magistrato del pool antimafia Antonio Ingroia, nel frattempo entrato (e uscito) nel mondo della politica e oggi avvocato di collaboratori di giustizia. Su di lui pende la "fatwa" di Cosa nostra, ma lui è da alcuni mesi senza protezione. Così, come riporta Il Fatto Quotidiano, ha preso carta e penna e scritto tre missive: la prima, il 16 maggio 2018, all'allora ministro dell'Interno Marco Minniti e al capo della polizia Franco Gabrielli in cui spiega che "lo scrivente, pur nel rispetto delle competenze e della responsabilità degli Organi preposti alla verifica e alla valutazione della sussistenza dei presupposti per il mantenimento o la revoca del sistema di protezione già disposto, non può nascondere di essere rimasto sorpreso". Le altre due lettere, Ingroia, le ha scritte al successore di Minniti, Matteo Salvini, al quale il 4 giugno scorso fa notare che "il collaboratore di giustizia Carmelo D' Amico ha riferito di specifici e concreti progetti omicidiari concepiti nei confronti dello scrivente e del pm Di Matteo, temporaneamente accantonati solo in quanto all' epoca di difficile realizzazione". L'ultima, ancora a Salvini e in copia al sottosegretario all'Interno Carlo Sibilia (dei 5 Stelle), risale a pochissimi giorni fa, il 21 giugno: in quella, Ingroia chiede "una rivalutazione aggiornata della situazione di pericolo cui lo scrivente ritiene di essere attualmente ancora esposto". La "improvvisa e totale rimozione di ogni dispositivo di protezione potrebbe essere interpretato dalle organizzazioni mafiose e in particolare dai boss che ho più perseguito in questi anni - da Matteo Messina Denaro ai fratelli Graviano agli stessi corleonesi facenti capo a Leoluca Bagarella, nonché ai capi della 'Ndrangheta - un segnale di abbandono e di isolamento da parte dello Stato nei confronti di chi per almeno 25 anni è stato percepito, a torto o a ragione, come un simbolo della lotta alla mafia, quale uomo delle Istituzioni e servitore dello Stato". Leggi anche: Antonio Ingroia indagato, disposto il sequestro della seconda casa di Calatafimi

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